Rivoluzione anche senza London School

La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Milano, le strade e le piazze brulicavano d’uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l’intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l’aveva proferito. Tra tanti appassionati, c’eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l’acqua s’andava intorbidando; e s’ingegnavano d’intorbidarla di più, con que’ ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell’acqua, senza farci un po’ di pesca. Migliaia d’uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe. (da i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Cap. 12)

Il 19 ottobre 1944, a Palermo, un plotone di militari dell’Esercito italiano, appartenenti al 139° reggimento fanteria della Divisione Sicurezza Interna “Reggio” (ex Sabauda) spararono davanti Palazzo Comitini (allora sede della Prefettura e oggi della Provincia) e lanciarono due bombe a mano contro una folla di civili che protestavano per la fame, la mancanza di pane e l’indipendenza. Il drammatico bilancio dell’eccidio fu di almeno 24 morti e ben 158 feriti, tra cui donne e bambini.
Fu un episodio che aumentò le simpatie per il separatismo siciliano e accelerò la nascita dell’Evis (Eservito volontari per l’indipendenza siciliana). Come ha scritto lo storico Francesco Renda, fu “la prima grande tragedia dell’Italia liberata”. Ventiquattro anni dopo, ad Avola, il 2 dicembre 1968, la Polizia represse nel sangue un movimento spontaneo di braccianti che protestavano contro il caporalato. Quella dei braccianti di Avola fu una vertenza decisiva, ‘pilota’. Era stata preparata con mesi di studio della Federbraccianti: la piattaforma rivendicativa, discussa in decine di assemblee in tutte le leghe bracciantili della zona Sud – da Siracusa a Noto a Pachino – era impegnativa e risentiva del clima delle lotte studentesche ed operaie che in quel ‘68 segnavano l’Europa e gli Stati Uniti d’America. La tesi che quel massacro fu provocato da alcuni agenti fuori di testa, come raccontò il governo in Parlamento, ovviamente, non ha retto (chili di bossoli esibiti alla Camera sono stati argomento convincente anche se non accettato). Morirono Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona, i feriti furono decine e la protesta dilagò in tutt’Italia. Due anni dopo vedeva la luce lo Statuto dei Lavoratori.
Ho voluto ricordare questi due eventi di sollevazione popolare, diversi tra loro per origini, cause scatenanti e appartenenza dei leaders che le guidarono perché molte sono le analogie con quanto sta accadendo in questi giorni. Un’ennesima ‘Guerra del Pane’ si sta scatenando in ogni parte della Sicilia. Nata dal rincaro senza precedenti dei prezzi del carburante – il nuovo pane che nutre l’economia gommata della nostra regione – essa sta dilagando in ogni provincia, provocando blocchi stradali, aeroportuali e marittimi, progressivo svuotamento degli scaffali dei supermercati, disagi di ogni genere che, però, incontrano comprensione da parte di moltissimi siciliani. Al tempo stesso, pochi giorni di austerity stanno facendo prendere coscienza di una forza contrattuale che l’Isola ha sempre saputo di avere nei confronti del resto del Paese, ma che una classe politica di ‘ascari’ non ha mai saputo convogliare nel modo migliore. Salvo poi a rivendicare le risorse Fas (sigla che sta per Fondi per le aree sottoutilizzate) al punto da spaccare su questo tema il partito dell’indimenticabile 61 a 0 e da trasformare, alchemicamente, un Presidente della Regione eletto con voto diretto da una precisa parte politica, in un Golem dai molti complici, guidati da mosche cocchiere.
In questi giorni è stato più volte ricordato che oltre il 50 per cento della benzina italiana si raffina in Sicilia, senza ritorno alcuno e con storiche devastazioni dell’ambiente, che il miglior pescato lascia l’Isola e in poche ore è venduto nei ristoranti del Nord a prezzi esorbitanti, che i nostri ortaggi e la nostra frutta, che nulla rendono ai produttori, sono “articoli di gioielleria” in molte città del Centro Nord del Paese.
Nel frattempo, la carenza di carburante sta facendo fare di necessità virtù. La scorsa mattina, a Palermo, nonostante la temperatura, per noi “rigida”, si sono viste centinaia di biciclette in strade abitualmente intasate da auto – rigorosamente con una sola persona a bordo e da posteggiare, affannosamente, per 7-8, ore in barba ad ogni concetto di car sharing o di altre stranezze “europee” – furgoni, SUV, ecc.
La pubblica opinione si sta esercitando, come sempre, sull’individuazione dei veri promotori della protesta in corso: elementi della destra? arruffapopoli manovrati dall’Mpa, che si riscopre autonomista? triplo gioco del Pd che mobilita come force de frappe le truppe ragusane?
I partiti di opposizione si affrettano a cavalcare l’evento, protestando per lo scarso spazio dedicato alla notizia dai media nazionali (monopolizzati dal naufragio della Costa Concordia e dalla ricerca del colpevole e dell’eroe, come da sempre nel costume nazionale) preparandosi ad offrire sponde politiche e voci istituzionali nelle assemblee in cui sono presenti.
Il tutto, mentre il Governo Monti lascia trapelare, cum grano salis, i dettagli della seconda fase della manovra, volta a assicurare alla ‘Preside d’Europa’ di aver fatto i ‘compiti’, fingendo di non accorgersi che quegli stessi ‘compiti’ stanno ugualmente portando la Grecia al default. In tale contesto, apparentemente caotico, e dove la progressiva diminuzione delle “A” sembra proprio scientificamente manovrata dagli stessi Governi che appaiono subirla, è possibile rintracciare alcune logiche molto precise.
La svolta liberista di Monti, che sta operando scelte che Berlusconi non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare, è chiaramente ispirata alle teorie dell’ “ordine spontaneo” del Premio Nobel, Friedric von Hayec, e dell’anti keynesiano Milton Friedman tradotte, negli anni ‘80, in politiche economiche da Ronald Reagan e da Margareth Thatcher e sintetizzabili nell’alleggerimento dello Stato da ogni spesa pubblica e nell’affidamento al mercato della regolazione economica e, conseguentemente, sociale. In altre parole: lacrime e sangue per circa dieci anni per costruire una svolta epocale e un Paese “risanato” e non più “infetto”, ripulito anche demograficamente, per i molti che moriranno (di fame) per i moltissimi che non nasceranno e per tutti gli altri che, potendo, se ne andranno – con i propri soldi – altrove.
Appare evidente che in questo clima da naufragio (sic!) ogni parte del Paese sta pensando ed operando per se stessa, accelerando il processo di federalismo nella direzione del “si salvi chi può” e distribuendo i pochi salvagente solo a chi sa già nuotare. Che dunque la Sicilia prenda finalmente coscienza di ciò che possiede e che finora ha regalato in cambio di nulla non è un male e ce ne accorgeremo quando, posto alle strette dai mancati rifornimenti di beni essenziali, il Governo minaccerà o adotterà direttamente misure di repressione del Movimento, –  magari tirando in ballo l’ombra lunga della mafia – che per il momento non vogliamo e non dobbiamo evocare.
Proprio in questi giorni compie un anno la rivoluzione che ha cambiato il volto del Nord Africa, ribaltando Rais, dittatori e classi dirigenti corrotte cui dalla fine del colonialismo quei popoli erano stati, più o meno “democraticamente”, assoggettati. Lì sono stati i giovani a dar fuoco alle polveri. Da noi sembra proprio che da questo versante ci sia poco da sperare: superlaureati e superdisoccupati ma, al tempo stesso, super coccolati da ospitali famiglie ancora beneficiarie di un welfare che per loro non esisterà più, sembrano abbastanza inclini a “stare a guardare”. Molti di essi sono già vecchi ed affetti dalla maledizione di Leonardo Sciascia che ricordava come “in Sicilia non si può cambiare perché non si crede che le idee possano cambiare la realtà” (La Sicilia come metafora).
Vuoi vedere che, al posto di vigorosi ventenni che non hanno alcuna voglia di essere – come invitava Steve Jobs – “affamati e folli”, ad aprirci gli occhi saranno stati baffuti e panciuti autotrasportatori che non hanno studiato alla London School of Economics e che l’Erasmus se lo sono fatti sulle autostrade d’Europa? Sarebbe una bella lezione e inevitabilmente sancirebbe il fallimento di almeno due generazioni di siciliani cui non resterà altro, ancora una volta, che andare al rimorchio del resto del mondo.
Sovente esso cambia e si trasforma anche attraverso le sembianze di rivolte come “quelle del pane” – senza ideologi e un po’ demodé – ma che innescano micce per far esplodere una rabbia troppo a lungo tenuta compressa da chi sul contenimento della medesima aveva fondato la proprio colpevole ricerca del consenso, costruendo strade in discesa che avevano proprio lo scopo soporifero di non portare da alcuna parte.

 


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La sera avanti questo giorno in cui renzo arrivò in milano, le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionati, c'eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla di più, con que' ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca. Migliaia d'uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe. (da i promessi sposi di alessandro manzoni, cap. 12)

La sera avanti questo giorno in cui renzo arrivò in milano, le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionati, c'eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla di più, con que' ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca. Migliaia d'uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe. (da i promessi sposi di alessandro manzoni, cap. 12)

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