Un ragazzino che, «a voce di testa (a voce alta, ndr)», dice di essere il nipote del capomafia Nitto Santapaola nei concitati momenti di una rissa. Un nome pesante pronunciato però, in «una cosa tra picciriddi (bambini, ndr)», all’interno di una discoteca di Catania ha iniettato una consistente dose di tensione nella storica alleanza mafiosa […]
Foto generata con IA
Gli spavaldi picciriddi della mafia. «Sono il nipote di Santapaola»: l’urlo in discoteca crea tensione tra clan
Un ragazzino che, «a voce di testa (a voce alta, ndr)», dice di essere il nipote del capomafia Nitto Santapaola nei concitati momenti di una rissa. Un nome pesante pronunciato però, in «una cosa tra picciriddi (bambini, ndr)», all’interno di una discoteca di Catania ha iniettato una consistente dose di tensione nella storica alleanza mafiosa tra la famiglia di Cosa nostra dei Santapaola e il clan Nardo di Lentini (nel Siracusano). L’aneddoto è contenuto nelle carte dell’inchiesta Mercurio delle scorse settimane e rimanda a quanto sarebbe avvenuto a novembre del 2021 in un locale di via Simeto, tra la stazione centrale e Le Ciminiere. Protagonista il figlio, all’epoca minorenne, di Francesco Santapaola, conosciuto con l’appellativo di Coluccio, cugino di Nitto Santapaola e noto per l’accusa di essere stato uno dei reggenti dell’organizzazione fino al 2016.
«Ha litigato il figlio di Ciccio, e gli hanno dato botte a questi qua… a questi di Augusta». I retroscena della faccenda tra giovani rampolli vengono svelati a Rosario Bucolo, ritenuto il referente mafioso nella zona del Castello Ursino. «Gli hanno dato botte anche alle femmine». «Prima o poi questi qua, che sono amici, vengono». Bucolo, dal canto suo, avrebbe voluto sapere nei dettagli i contorni della discussione anche perché bisognava capire se chiedere l’intervento riparatore della «zia», poi identificata in Grazia Santapaola. La donna non è solo la moglie del boss Salvatore Turi Amato, attivo in via della Concordia, ma è zia di Francesco Coluccio Santapaola, cioè il padre del ragazzino protagonista della rissa. «Io la posso chiamare la zia – diceva un uomo a Bucolo – In caso discutiamo con lei». «Le devi dire – spiegava Bucolo – “Zia Grazia vediamo di risolvere questa cosa, perché siccome ci sono questi qua che sono parenti di questa qua e stanno venendo per questa discussione. Non è che possiamo fare discussione con il picciriddu (il bambino, ndr)».
Oggetto della discussione non era solo Santapaola junior, ma una delle vittime del pestaggio. Ossia un ragazzo indicato dagli interlocutori intercettati come il fidanzato della figlia di un noto esponente dei Nardo ad Augusta, in provincia di Siracusa. Il vero problema, però, sarebbe stato il padre della vittima del pestaggio. Un uomo il cui nome non viene mai pronunciato ma che, a quanto pare, sarebbe ben noto a chi discuteva della faccenda per il suo modo di fare non proprio tranquillo. «Gli possiamo fare dare la mano e la discussione è finita. Noialtri non tocchiamo lui e lui non tocca da questa parte», insisteva Bucolo.
Il modo con cui l’uomo ritenuto a capo del gruppo del Castello Ursino pensava di risolvere la questione, per gli investigatori farebbe emergere come un semplice fatto privato tra ragazzini rimandi all’influenza mafiosa dei Santapaola. Non solo a Catania ma anche nei territori confinanti, in particolare tra Lentini e Augusta, storicamente vicini a Cosa nostra etnea. «Lui non può toccare accabbanna (da questa parte, ndr)», insisteva Bucolo rimandando alla competenza territoriale della mafia. «Se mio figlio sbaglia – continuava spiegando cosa gli avrebbe detto – “Qua sei ospite ‘mbare, non sei a casa tua. A casa tua fate così, qua siete qua! Qua vi infiliamo le scarpe nel culo».
Restava, però, l’incauta scelta di Santapaola junior di spendere il nome dello zio. «Gli ha detto “sono il figlio di Ciccio, il nipote di Nitto” – racconta un uomo a Bucolo riferendo quanto avvenuto in discoteca – Questo no perché lui a voce non deve dirlo, in ogni caso questo è sbagliato a prescindere. Sono loro a insegnarli l’educazione… non è mio figlio». A questo punto, l’idea sarebbe stata quella di fare sapere al ragazzino che il suo gesto era stato poco attento: «Però, sicuramente, qualcosa gli si deve dire». Un insegnamento è per sempre, anche se sei picciriddu.