Rischio idrogeologico/ L’Italia frana (non solo economicamente). Ma non gliene frega niente a nessuno

SI FANNO UN SACCO DI CHIACCHIERE. MA SI CONTINUANO A COSTRUIRE CASE NELLE AREE A RISCHIO. E NON CI SONO CONTROLLI. PERICOLI CHE NON RISPARMIANO LE SCUOLE

A volte, guardando i dati, è difficile comprendere come i governi, i politici e i pubblici amministratori che si sono succeduti per decenni, ma anche la gente comune non abbiano alzato la voce per reclamare i propri diritti o almeno per far capire che la situazione stava raggiungendo livelli assurdi.

Come nel caso della condizione idrogeologica del Bel Paese. Ogni anno, all’arrivo delle piogge autunnali, se ne parla, ci si indigna per l’esondazione di questo o quel fiume, per i rischi correlati con gli alti livelli di un fiume che potrebbe allagare un vasto territorio o si protesta per la frana che ha distrutto o reso irraggiungibile questo o quel paesino. Poi tutto finisce lì. Cala il sipario e del problema non si parla più. Almeno fino al prossimo imprevedibile “disastro”.

La verità, però, è che la maggior parte di questi “disastri” non sono imprevedibili. E, se tutti avessero fatto il proprio dovere, forse non sarebbero morte, dal 1950 al 2012, oltre 9 mila persone, e non ci sarebbe stato un numero enorme di sfollati (700 mila) e di senza tetto. E oltre 240 miliardi di euro di danni. Tragedie annunciate, ma quasi sempre ignorate. Tragedie che spesso sarebbe stato possibile evitare.

Perché tanta superficialità? Forse perché dietro questi disastri c’è anche l’azione dell’uomo. Ormai spesso si parla di “bombe d’acqua”, come si usa chiamarle ora, che sono arrivate all’improvviso e hanno devastato vaste aree agricole o parti del territorio. Eppure sarebbe stato facile evitare questi danni. Sarebbe bastato evitare di costruire in un certo modo o in un certo posto.

Secondo un recente rapporto del Corpo forestale, sarebbero oltre 6.600 i Comuni in aree ad elevato rischio idrogeologico, corrispondenti al 10 per cento della superficie nazionale. Comuni che sono abitati da quasi sei milioni di italiani che, quindi, vivono in una situazione di potenziale pericolo.

Eppure nessuno fa niente. Qualcuno dirà che spesso si tratta di Comuni in cui si trovano vecchi edifici che non rispettano le recenti norme di sicurezza. Ancora una volta i dati smentiscono questa giustificazione. Non sono solo le case ad essere a rischio. Secondo un rapporto Ance-Cresme, in Italia una scuola su dieci è a potenziale rischio. Si tratta di 6.400 edifici scolastici (su 64.800 totali) che si troverebbe in un’area a rischio frana o alluvione.

Lo stesso vale per gli ospedali: 550 strutture si trovano in una zona a rischio. E se sono a rischio questi edifici, figurarsi per le industrie, i negozi e le altre attività.

Secondo una stima di Legambiente, il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni dal 1994 a oggi è di 242,5 miliardi di Euro. E per di più danni che non diminuiscono, come sarebbe logico attendersi, imponendo criteri di sicurezza più severi per gli edifici in aree colpite.

Sempre secondo Legambiente, nell’ultimo decennio l’area dei territori colpiti da alluvioni e frane è raddoppiata. Anche secondo i dati raccolti in #dissestoitalia, la prima grande inchiesta multimediale sul dissesto idrogeologico, frane e crolli continuano ad aumentare: da poco più di 100 “eventi” all’anno tra il 2002 e il 2006, si è passati a 351 del 2013 (e 110 solo a gennaio 2014). Un incremento che è andato di pari passo con l’espandersi dell’urbanizzazione e della cementificazione.

Eppure, “negli ultimi dieci anni abbiamo speso per la prevenzione due miliardi di Euro”. E altri, che pure avrebbero potuto essere utilizzati per mettere i sicurezza l’Italia, non sono stati usati. Perché?

Matteo Renzi, nelle scorse settimane, ha lanciato una nuova campagna, come suo solito a base di slogan e proclami mediatici, che ha chiamato “#italiasicura”. La verità è che il “nuovo che avanza” – con riferimento al Governo Renzi – come molti dei quelli che lo hanno preceduto, non è riuscito (o forse non ha voluto) utilizzare i circa 4 miliardi di euro di fondi destinati proprio a prevenire le emergenze che si verificano sul territorio italiano e che causano sempre più danni e sempre più vittime.

È stato presentato a tutti i giornali un intervento della “Struttura di missione” (altri nomi rassicuranti e che provano che qualcosa si sta facendo): un elenco di opere da realizzare, ben 3395. Quello che nessuno si è chiesto è come mai molte di queste opere erano già ben note e “in elenco” dal 2009, eppure l’80% di esse è ancora da cantierare, progettare o almeno da finanziare.

Soldi che avrebbero potuto evitare disastri o salvare vite umane e che invece sono rimasti nelle ‘casse’ dello Stato (probabilmente ben felice di averle per motivi di bilancio). Quasi due miliardi e mezzo di fondi (tra soldi statali, delle Regioni e fondi UE). Ai quali va aggiunto più di un miliardo e mezzo di euro per le infrastrutture idriche del Sud. Non utilizzati nonostante il Bel Paese sia già sotto procedura di infrazione da parte dell’UE. E che ai governi non dispiacesse tenere questi soldi in ‘cassa’, lo dimostra il fatto che il “nuovo che avanza” ha chiesto di potere spenderli al di fuori del Patto di stabilità.

Ma come sempre ogni nuovo Governo (figurarsi il “nuovo che avanza”) non dice mai niente né dei propri errori, né tanto meno degli errori dei predecessori (non si sa mai: tra qualche anno potrebbero tornare utili in Parlamento i voti della controparte). Anzi rilancia. E così ha fatto Renzi che ha annunciato di voler aggiungere ai già non pochi quattro miliardi di euro ancora in ‘cassa’, un altro miliardo di euro all’anno.

Nel decreto Sblocca Italia si parla proprio di dissesto idrogeologico:

“Parte l’opera di prevenzione e messa in sicurezza dell’Italia più fragile colpita da frane e allagamenti. Gli articoli prevedono misure per il superamento delle procedure di infrazione, accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico e per l’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione degli agglomerati urbani nonché il finanziamento di opere urgenti di sistemazioni idraulica dei corsi d’acqua nelle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione.”

Soldi che, se spesi e spesi bene, potrebbero ridurre i danni che il dissesto idrogeologico del Bel Paese ha prodotto negli ultimi decenni danni che sono costati agli italiani 3,5 miliardi l’anno.

Andrea Orlando, attuale ministro della Giustizia, quando, durante il Governo Letta, era ministro dell’Ambiente, disse: “Sul dissesto idrogeologico stiamo ripetendo l’errore fatto in passato con la finanza pubblica. Si accumula un debito che viene scaricato sulle generazioni future”.

È passato un anno e Gian Luca Galletti, nuovo ministro dell’Ambiente ha detto: “Il nostro è un Paese morfologicamente malato: il dissesto è uno dei principali problemi italiani e il suo contrasto è stato messo fin dal primo giorno tra le priorità del governo”.

Si continua a parlare e a fare presentazioni e manifestazioni, ma niente di concreto.

Il vero problema è che mentre fare piani e programmi è mediaticamente importante, imporre restrizioni territoriali per le costruzioni piace di meno ai vari esemplari di HOMO POLITICUS. Bonificare o mettere in sicurezza un’area non porta voti. Costruire sempre più case e palazzi, magari dove un fiume o un torrente potrebbero esondare o dove la terra potrebbe franare, invece porta voti. Voti e soldi. Soldi per i Comuni, per le imprese che costruiscono e forniscono servizi, entrate per lo Stato (sia dirette che indirette tramite le imprese di costruzioni) e soldi per la gestione dei servizi delle aree urbanizzate.

Quindi nessuno ha avuto niente da dire quando il “consumo” del suolo è aumentato di 244.000 ettari all’anno (due volte la superficie del Comune di Roma). Anche quando queste case vengono costruite in aree ad alto rischio.

Secondo i dati dell’Associazione Nazionale Bonifiche e del Consiglio Nazionale dei Geologi sarebbero a rischio il 100 % dei Comuni di Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e della provincia di Trento. Meglio, eufemisticamente, (99%) nelle Marche e in Liguria, in Lazio e Toscana (98%) e così via fino alle Regioni più “sicure”, Lombardia e Veneto, dove sarebbero a rischio solo il 60% dei Comuni.

La verità è che in Italia non ha più alcun senso parlare di “emergenza” per ciò che riguarda i rischi idrogeologici, ormai sarebbe più giusto parlare di normalità.

Nota a margine

Ci vorrebbe un intervento sostitutivo. Da parte della magistratura.
g.a.

Foto tratta da classmeteo.it

 

 


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