Rinnovabili, Regione revoca nulla osta per fotovoltaico Nella società un indagato nell’inchiesta su Vito Nicastri

Un impianto fotovoltaico tra Carlentini e Melilli – non ancora costruito, ma che di recente puntava a raddoppiare la potenza da 55 a 110 megawatt – e una società su cui fino a ieri sera non si era detto nulla. L’inchiesta sugli affari che Vito Nicastri – il re dell’eolico ritenuto vicino a Matteo Messina Denaro per il quale ieri sono stati chiesti dodici anni di carcere – avrebbe continuato a portare avanti nel settore delle rinnovabili, grazie a una rete di prestanomi, tra i quali il consulente energetico della Lega Paolo Arata, ha causato, ieri, la sospensione da parte della Regione delle autorizzazioni nei confronti di un’impresa che non rientra tra quelle perquisite su disposizione dei magistrati di Palermo. 

Si tratta della Sun Power Sicilia, srl con un capitale di 20mila euro, le cui quote sono per l’80 per cento detenute dalla Baywa R.E. srl e per il restante 20 di proprietà del 48enne milanese Antonello Barbieri. Quest’ultimo è coinvolto nell’indagine su Arata nelle parti riguardanti i presunti casi di corruzione all’interno dell’assessorato all’Energia e al Comune di Calatafimi. Episodi in cui, secondo il convincimento dei magistrati palermitani, sarebbero state distribuite mazzette, una delle quali da 115mila euro. 

La Sun Power Sicilia, nel corso degli anni, ha cambiato sede più volte, risultando iscritta nei registri delle imprese di più province. Da Trapani a Milano, per poi tornare in Sicilia, a Palermo, e nuovamente a Milano. L’ultimo passaggio, a marzo scorso, quando l’impresa è stata registrata in provincia di Trento. Attualmente, infatti, la sede legale risulta a Rovereto. Oltre ai nomi delle città, a cambiare sono stati anche quelli delle persone a cui l’impresa è stata ufficialmente legata. Scavando nella storia della società si riesce a intuire il motivo che ha portato il dirigente generale del dipartimento all’Energia Tuccio D’Urso ad annunciare l’avvio del processo di revoca delle autorizzazioni ottenute tra il 2015 e il 2018, con una nota in cui si cita la violazione dell’articolo 3 del protocollo di legalità conosciuto anche come codice Vigna. L’articolo è quello che richiama la necessità di individuare gli effettivi titolari delle società.

Il sospetto che dietro la Sun Power Sicilia possa esserci ancora Nicastri parrebbe infatti concreto. La società dal 2013 al 2017 ha avuto come socio unico un’altra srl, la Quantans. Quest’ultima, nelle carte della procura di Palermo, è citata tra quelle di cui Nicastri sarebbe socio occulto. Amministratore della Quantans – anche questo dato emerge dall’inchiesta – è risultato proprio Barbieri. Quest’ultimo il 12 dicembre di due anni fa assume la carica di socio unico di Sun Power Sicilia, rilevandola da Quantans. Ma andando all’origine il quadro si fa completo: il 27 marzo 2007, la società viene registrata a poco più di un mese dalla sua costituzione. Quel giorno a presentarsi davanti a un notaio alcamese, nelle vesti di amministratore unico della neonata Sun Power Sicilia, compare proprio Vito Nicastri, all’epoca 51enne.

Il sospetto della procura è che Cosa nostra possa in questi anni avere riacceso il proprio interesse a infiltrarsi nel settore delle rinnovabili. Appetiti che seguirebbero anche l’evoluzione degli orientamenti politici in terma energetico. E così, dopo il boom dell’eolico, l’attenzione si sarebbe spostata altrove: a partire dalla produzione di biometano, per cui nel 2016 il governo nazionale ha previsto l’istituzione di incentivi economici per chi decide di investire nel ramo. Tema che ha trovato spazio anche nel contratto di governo tra Lega e M5s, una dichiarazione d’intenti che sarebbe stato frutto dell’impegno del sottosegretario leghista Armando Siri, anche lui indagato per il sospetto di essere stato a libro paga di Arata.

Al momento sono circa una decina le istanze presentate alla Regione da parte di privati interessati a realizzare impianti per la produzione di biometano. Tra essi anche i due progetti presentati a Calatafimi (Trapani) e Francofonte (Siracusa) da Solgesta, una delle società perquisita nei giorni scorsi perché orbitanti nella sfera d’influenza di Arata e Nicastri. Ieri la Regione ha annunciato di avere sospeso i due procedimenti autorizzativi. Ma l’attenzione è rivolta al panorama generale, anche se c’è chi mette in guardia dall’equivalenza tra rinnovabili e criminalità organizzata: «Bisogna evitare di puntare il dito contro la tecnologia in sé – dichiara Gianfranco Zanna di Legambiente -. Il fatto che i clan possano muoversi per infiltrare un settore non significa che finanziare queste tecnologie sia sbagliato».

Tuttavia, a taccuino chiuso, c’è anche chi suggerisce un’altra riflessione. Riguarda la forza economica delle realtà imprenditoriali che si sono affacciate sulla scena: «Tra chi finora ha presentato progetti per la produzione di biometano ci sono diverse piccole società, con capitali limitati e che non sembrerebbero attrezzate per condurre attività a livello industriale – rivela una fonte a MeridioNews -. Al momento non si può escludere che non si replichi il canovaccio che ha caratterizzato gli anni dell’eolico, con società create ad hoc con lo scopo di ottenere le autorizzazioni per poi rivendere il pacchetto completo, comprensivo della garanzia di poter beneficiare di incentivi pubblici, ad altre società capaci di gestire questi business». Uno di questi casi è rappresentato proprio da Solgesta, una delle imprese finite nel mirino dei magistrati: amministrata dalla moglie di Arata, Alessandra Rollino, a fronte di un capitale sociale di appena 2500 euro puntava a realizzare investimenti per circa 80 milioni di euro.


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