Riforma Pesenti: addio Confindustria Sicilia?

DELLA RIFORMA, VOLUTA DAL LEADER NAZIONALE, GIORGIO SQUINZI, SI STAREBBE OCCUPANDO UNA COMMISSIONE GUIDATA DA GIORGIO PESENTI. E NELL’ISOLA? TEMPI DURI PER GLI OPPORTUNISTI: CIOE’ PER CHI, FINO AD OGGI, HA UTILIZZATO LO STATUS CONFINDUSTRIALE PER FARI CI CAVOLI PROPRI

C’è malumore nelle sedi provinciali di Confindustria Sicilia. E, pure nella sede regionale, l’atmosfera non è proprio gaia. Ad agitare i sedicenti industriali siculi è l’annunciata riforma della struttura dell’associazione, voluta dal leader nazionale Giorgio Squinzi (nella foto a sinistra) che, per realizzare quest’obiettivo, ha istituito una commissione ad hoc guidata da Carlo Pesenti. Una riforma che porterà alla soppressione di numerose sedi territoriali e forse pure di qualche sede regionale. Da qui il malumore di cui sopra.

La filosofia della riforma è semplice: semplificare una organizzazione che oggi è elefentiaca, in cui, peraltro, molti imprenditori non si riconoscono più, e che, soprattutto, costa una marea di soldi: le spese per mantenere la struttura confindustriale, nel suo complesso, ammontano a circa 500 milioni di euro. Di questi, 40 vanno alla sede centrale di Viale dell’Astronomia, il resto viene assorbito dalle 18 sedi regionali e dalle 98 provinciali più annessi e connessi (dipendenti, affitti, autisti, ecc). Costi che per i vertici di Confindustria non sono più giustificabili.
 

Ridurre i costi, quindi, tagliando rami secchi e inutili doppioni: “Nel momento in cui chiediamo al Paese di recuperare efficienza, ritrovare spinta propositiva e nuove energie, spetta anche a noi imprenditori il massimo impegno – ha dichiarato in proposito Pesenti – dobbiamo cioè compiere un importante sforzo di analisi e di ulteriore sviluppo della nostra struttura associativa, interrogandoci sul suo ruolo e assicurando meccanismi di governance capaci di raccordare le radici territoriali con le sfide europee e globali, garantendo eccellenza, efficienza ed incisività”.

Come da prassi, non mancano le resistenze da parte di quelle componenti interne che non vogliono rinunciare ai privilegi che lo status di ‘confindustriale’ finora ha garantito. Non è un problema di quattrini (gli incarichi dei vertici confindustriali sono a titolo gratuito) quanto di status. Un presidente di associazione, anche piccola, è diventato, per ragioni ancora ignote, un’autorità: senza l’aquilotto confindustriale al bavero della giacca resta solo un imprenditore tra tanti.

E la Sicilia, inutile girarci intorno, è l’emblema dei privilegi che tale status può portare in dono. Anche se, pure nell’Isola, c’è una base di imprese contribuenti in rivolta (e in fuga), irritata dall’opportunismo di chi cerca solo vantaggi per sé a spese dell’ associazione.

In ogni caso, Pesenti (nella foto a destra) va avanti. E anche se il documento dovrà essere approvato dalla giunta nazionale, è difficile che venga stravolto del tutto. Una delle nuove direttrici contemplate dalla riforma prevede l’avvio di processi aggregativi tra le varie sedi secondo “un modello organizzativo che combini le esigenze delle imprese, valorizzando “Macroterritori–Distretti- Aree Metropolitane”. E c’è già chi ha seguito la via indicata: le territoriali di Gorizia e Trieste, ad esempio, hanno già avviato una fusione.

E in Sicilia?  Secondo una prima bozza circolata negli ambienti confindustriali, dovrebbero essere soppresse quelle sedi territoriali che non garantiscono almeno 500 mila euro di contribuzione. Nell’Isola, a quanto ci risulta, nessuna delle nove provinciali raggiunge quella cifra. Nell’ipotesi di fusioni, comunque, secondo le prime stime, non ne potrebbero restare sul campo più di due.

Stessa sorte spetterebbe a molte altre regioni del Sud Italia. A parte Napoli e Bari, infatti, anche le sedi confindustriali delle altre città meridionali sono alquanto deboli.
Ma c’è di più. Secondo alcune indiscrezioni, allo studio di Pesenti, ci sarebbe anche l’ipotesi di spingere all’aggregazione anche le sedi regionali che insistono in territori con scarsa presenza industriale. Il ragionamento è semplice: inutile, soprattutto in tempi di crisi, spendere un sacco di soldi per sedi che rappresentano ben poco visto che stanno in regioni dove di industrie c’è solo l’ombra. E, Confindustria Sicilia, in questo caso, non avrebbe scampo.

La riforma prevede anche una nuova organizzazione al vertice: previsto il Consiglio di Presidenza, l’organo esecutivo cui è affidata la conduzione strategica di Confindustria, che sarà composto da 10 membri, compreso il presidente. Inoltre, nell’ottica di un accorciamento della catena decisionale, è prevista l’eliminazione del Consiglio Direttivo, passando i livelli dell’attuale governance nazionale da tre a due. La funzione di indirizzo strategico e controllo di Confindustria viene affidata al Consiglio Generale, che sostituisce l’attuale Giunta. Dovrebbe nascere anche un comitato delle rappresentanze regionali, composto dai presidenti regionali. Organismo che andrebbe a sostituire l’attuale Comitato per il Mezzogiorno. Che di certo non ha brillato nell’impegno di valorizzare il contesto produttivo meridionale.

Vedremo come andrà a finire.

.Il Fatto: “Confindustria Sicilia occupa il potere in nome della legalità”

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