Il Consiglio dei ministri sostiene che il tema sarebbe di competenza del governo nazionale. A luglio, nonostante il parere negativo dell'ufficio legislativo, l'Ars l'aveva approvata. Obiettivo era limitare il ribasso d'asta e prevenire infiltrazioni mafiose. M5s: «L'auspicio di più competitività era corretto»
Riforma degli appalti, Roma impugna la norma «Con questa legge già più partecipanti a gare»
«La materia della tutela della concorrenza è esclusivamente di competenza legislativa dello Stato». Con questa motivazione il Consiglio dei ministri ha impugnato la riforma degli appalti che l’Assemblea regionale siciliana aveva approvato lo scorso luglio. Il Cdm ha infatti rilevato profili di illegittimità costituzionale.
In particolare a essere violato sarebbe il secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Quello, appunto, che assegna a Roma il compito di legiferare su questo tema. Il governo nazionale, tuttavia, ha deciso di aprire un tavolo di confronto istituzionale con la Regione Siciliana per trovare possibili soluzioni. Già quest’estate la norma aveva ottenuto il parere negativo dell’ufficio legislativo dell’Ars, perché entrava in conflitto con il codice nazionale sugli appalti, ma l’assemblea l’ha approvata ugualmente, dopo che il presidente Giovanni Ardizzone aveva rinviato la decisione all’aula. Obiettivo della legge è limitare le aggiudicazioni con ribasso d’asta, introducendo un meccanismo di media aritmetica delle offerte con l’esclusione di quelle che superano questa media di oltre il 10 per cento. Così facendo si sarebbe voluto anche prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti.
Due giorni fa, l’assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo dopo un incontro a Palazzo Chigi, si era mostrato ottimista sulla risoluzione della vicenda e aveva escluso l’ipotesi di un’impugnativa. «L’incontro era andato bene – afferma oggi – è stato lungo e proficuo, non mi aspettavo l’impugnativa. Evidentemente sono sorte ulteriori analisi oltre quelle già dibattute. Le affronteremo nel corso del confronto che sarà aperto con il governo nazionale. È tuttavia improcrastinabile – prosegue – una concreta risposta all’asfissia economica di un settore che l’anno scorso ha lasciato sul terreno oltre 10mila occupati e che anche secondo le relazioni antimafia e le informative del ministero degli interni rimane un settore ad alto tasso di inquinamento da parte dei cartelli imprenditoriali mafiosi, che soffocano la concorrenza degli imprenditori onesti sfruttando ribassi anomali e condizionando l’intero sistema».
La norma è stata voluta fortemente anche dal Movimento cinque stelle. «La lettura delle motivazioni, che non entrano nel merito degli approfondimenti giuridici prodotti a supporto della legge 14 e chiesti da palazzo Chigi – afferma il primo firmatario della legge, il grillino Sergio Tancredi – mi fanno pensare che le motivazioni siano esclusivamente politiche, perché si vuole evitare che la Sicilia riaffermi il proprio diritto a legiferare, anche nelle materie concorrenti, peculiarità dataci dal nostro statuto, che da più parti ultimamente viene attaccato. Questo è l’ultimo di una serie di sfregi del governo Renzi alla Sicilia e all’economia siciliana». Tancredi sottolinea l’importanza della riforma, «e la recente manifestazione degli imprenditori, che sono arrivati perfino ad incatenarsi per difendere la legge ne è prova lampante. Da rimarcare – aggiunge – che con la nuova legge i partecipanti alle gare sono aumentati sensibilmente, confermando che l’auspicio di un incremento di competitività era corretto e che si tratta di una norma che stimola la libera concorrenza, ampliando la platea dei soggetti che possono aspirare all’aggiudicazione».
La riforma approvata a luglio è nata dal confronto con numerose realtà imprenditoriali e sociali ed è stata salutata con favore dall’Ance Sicilia, l’associazione nazionale dei costruttori edili, che l’ha definita «una norma in grado di imprimer una svolta importante nel settore delle opere pubbliche da troppo tempo attanagliato da crisi e malaffare»