L'ex governatore parla a MeridioNews dopo l'avviso di garanzia ricevuto dalla Procura di Catania. Al centro della vicenda le autorizzazioni rilasciate all'impianto gestito da Antonino e Carmelo Paratore, ritenuti affiliati al clan Santapaola. «Dalle carte che io avevo era tutto in ordine, ho agito per il bene dei siciliani»
Rifiuti, indagine sul traffico verso la discarica Cisma Intervista a Crocetta: «Immorale lasciarli per strada»
«Non ho firmato alcuna nuova autorizzazione strutturale, non ho fatto altro che autorizzare un esercizio in un momento di emergenza». Rosario Crocetta parla dopo la notizia dell’avviso di garanzia ricevuto per avere firmato due ordinanze nel 2016 che davano il via libera al conferimento nella Cisma, la discarica di rifiuti speciali di Melilli, della munnizza prodotta in una ventina di Comuni siciliani, delle province di Siracusa e Palermo. Era l’estate del 2016 e in piena emergenza rifiuti, Crocetta riceve la proposta della Cisma, un impianto nato per smaltire rifiuti pericolosi, che adesso si propone di ricevere anche quelli normali. «Dovevamo fronteggiare – ribatte l’ex governatore – un’emergenza vera e propria: 2.500 tonnellate di rifiuti buttati per le strade della Sicilia e ogni giorno non riuscivamo a conferire più di cento tonnellate, perché mancavano gli impianti di tritovagliatura e biostabilizzazione dei rifiuti».
Non c’era alternativa?
«Era fallito ogni tentativo di portare fuori dalla Sicilia i rifiuti».
Così avete accettato la proposta della Cisma.
«Non era mia la competenza verificare i requisiti tecnici».
Però l’avviso di garanzia è arrivato a lei e non all’allora assessore al ramo, Vania Contrafatto.
«Non era di competenza dell’assessore firmare quelle autorizzazioni, agivamo in regime emergenziale. In ogni caso, senza quel provvedimento, i rifiuti starebbero ancora lì. Ho piena fiducia nella magistratura che farà il suo corso, io so di aver agito solo in nome e nell’interesse del popolo siciliano».
Però è noto che i settori più permeabili alle infiltrazioni criminali siano proprio sanità e rifiuti, perché è frequente il ricorso a regimi emergenziali.
«Appunto. Un 191 (il regime di emergenza rifiuti, ndr) è fatto per motivi straordinari e urgenti. Se io alla proposta di uno che mi dice che ha l’impianto per conferire, non autorizzo, vengo denunciato per avere lasciato i rifiuti per strada. A Melilli, in quel preciso momento, quei rifiuti venivano biostabilizzati. Mancavano Tmb dappertutto e dove c’erano erano insufficienti. Parliamoci chiaro: qualcosa la dovevamo fare. Poi sui provvedimenti tecnici, ripeto, non ero io ad occuparmene. Anzi, per eccesso di scrupolo, nonostante l’azienda fosse nella white list della Prefettura, richiesi anche l’informativa antimafia».
Eppure su quella discarica, già per l’iter che portò all’ampliamento, c’erano stati forti pressioni su alcuni funzionari della Regione che si opponevano.
«Ma chi lo sapeva? Noi abbiamo saputo dopo, soltanto quando sono state rese note le indagini».
Quanto le pesa essere finito nella stessa indagine con altri indagati – Antonino e Carmelo Paratore, titolari della Cisma – che sono accusati di far parte del clan Santapaola?
«Proprio per niente. Io ho agito nel bene dei siciliani, tant’e vero che non ho sentito l’esigenza né di fare un comunicato stampa, né altro. Se avessimo dovuto attendere l’informativa antimafia dalla Prefettura, sarebbero trascorsi sei mesi. Vede, se non si tiene presente la contestualità, non si capisce in che clima sono state firmate quelle ordinanze».
Pensa almeno di aver avuto attorno dei cattivi consiglieri?
«Ma quali cattivi consiglieri? I rifiuti! Dovevamo togliere i rifiuti dalla strada! Dalle carte che io avevo era tutto in ordine».
Insomma, nessuna questione morale.
«Sarebbe stato immorale lasciare i rifiuti per strada in presenza di un impianto che poteva trattarli. Quando si governa ci si deve assumere le responsabilità. Col senno di poi, anche questo fa parte del martirio di avere fatto il presidente della Regione».