Per la prima volta in Italia una giudice, Paola Marino del tribunale del lavoro di Palermo, dà ragione a un dipendente di Glovo disconnesso improvvisamente dall'App. Una decisione che potrebbe mettere sottosopra l'intero settore
Rider licenziato vince ricorso: «È lavoro subordinato» Una sentenza fa tremare le multinazionali del delivery
Una piccola rivoluzione che potrebbe essere partita da Palermo. Per la prima volta un giudice ha riconosciuto a un rider lo status di lavoratore subordinato, imponendo a una multinazionale, Glovo, di assumere l’uomo, licenziato dopo due anni di servizio, o meglio, disconnesso dalla piattaforma e tagliato fuori dal sistema di consegne.
Protagonista della vicenda è Marco Tuttolomondo, 49enne padre di famiglia che dal 2018 sbarcava il lunario consegnando cibi e bevande per conto dell’azienda per conto della Foodinho srl, propaggine italiana della multinazionale delle consegne a domicilio, fino a quando la sua app è stata bloccata a seguito – pare – di un’intervista presso una Tv locale in cui Tuttolomondo aveva denunciato la condizioni di difficoltà vissute dai ciclofattorini delle piattaforme di delivery.
Dopo la proposta di conciliazione fatta a fine ottobre e rifiutata da Glovo, che non ne ha voluto sapere di riassumere Tuttolomondo a tempo indeterminato, la giudice Paola Marino, del Tribunale del Lavoro di Palermo, ha emesso ieri la sentenza definitiva disponendo non solo il reintegro del lavoratore, ma anche l’assunzione a tempo indeterminato con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno, con uno stipendio orario, non più a cottimo, con inquadramento di sesto livello e applicando il contratto collettivo del settore terziario, distribuzione e servizi.
«È proprio questa la grande vittoria – spiega a MeridioNews Andrea Gattuso, segretario palermitano del Nidil Cgil – Tuttolomondo lavorava con partita iva, come libero professionista, ma di autonomo nel suo lavoro non c’era nulla: è la piattaforma che decide dove andare a prendere l’ordine e dove andarlo a consegnare, è la piattaforma che in base all’algoritmo decide quando si apre il calendario e quando lavorerai, è la piattaforma che decide quanto guadagni. Non ci sono gli elementi tipici del lavoro autonomo, tant’è che la giudice lo ha riconosciuto e inquadrato come lavoro subordinato».
Gli effetti di questa sentenza potrebbero ricadere come una scure su tutto il settore, creando un precedente che imponga alle aziende di cambiare radicalmente la gestione dei propri (non) dipendenti. La giudice ha anche disposto un risarcimento del danno dal giorno della disconnessione a quello dell’effettivo reintegro e la differenza retributiva tra quanto guadagnato dal rider con il contratto autonomo e quanto gli sarebbe spettato con un contratto di lavoro subordinato. «Queste decisioni potrebbero influire su tutta la categoria dei lavoratori atipici – dice ancora Gattuso – In questo senso su questo alcune compagnie come Just Eat, avevano già fatto marcia indietro dichiarando che dal 2021 avrebbero assunto i rider con contratto subordinato, ma penso che dopo questo ricorso ne potrebbero arrivare altri, promossi non solo da noi, ma da qualsiasi rider».
Il ricorso del lavoratore è stato sostenuto dal sindacato, attraverso gli avvocati romani di Filcams, Nidil e Filt Carlo de Marchis, Matilde Bidetti, Sergio Vacirca e della legale palermitana di Nidil Giorgia Lo Monaco. E proprio l’avvocata Lo Monaco sottolinea che la decisione del giudice di Palermo supera un recente pronunciamento della Cassazione, che risale allo scorso gennaio, nel quale si riconosceva a un lavoratore piemontese un rapporto di lavoro cosiddetto etero-organizzato. «La giudice di Palermo – dice – stabilisce, invece, che il rapporto si configura come subordinato. Dopo il dispositivo, attendiamo adesso le motivazioni della sentenza che creano un importante precedente».