«Ricci interi non ne serviamo, ma possiamo metterli nella pasta», è la risposta comune ai più conosciuti ristoranti di specialità marinare del Catanese. Nonostante la pesca e la vendita dei ricci, con decreto datato 1995, siano proibite dal primo maggio all’ultimo giorno di giugno di ogni anno. È il periodo in cui la specie si riproduce, il più importante perché non scompaia dai fondali marini siciliani. Eppure si trovano sulle diverse bancarelle dei mercati all’aperto e case del pesce. «Venti ricci, cinque euro», dice un venditore della pescheria di Catania. Lo stesso sotto gli archi della Marina. I barattoli di polpa di ricci costano invece otto euro l’uno, «in offerta solo per oggi». «Dieci ricci, 25 euro», la differenza tra bancarelle e botteghe del pesce sta solo nel prezzo e nella discrezione: la merce illegale non viene esposta. «Non n’ha ciccari ricci ni stu periodo», risponde il lavoratore di una casa del pesce. «Su nichi e non su boni». Forse pure inquinati, perché «vengono da Melilli e non sai chi ti manci».
«Raccogliere i ricci nel loro periodo di riproduzione uccide pure tutte le loro generazioni successive. Ciò causa la drastica riduzione della loro popolosità e un enorme danno all’ecosistema del fondali» spiega a MeridioNews Vincenzo Di Martino, ecologo del Consiglio nazionale delle ricerche, specializzato in biologia marina. «Per raccoglierli viene utilizzato anche il solfato di rame (la cosiddetta acqua celeste, ndr) – continua -un elemento che priva il mare dell’ossigeno causando la morte di tutto quello che c’è di vivo in zona». Ma il preliervo del riccio di mare «segue l’eccessiva pressione del mercato – continua Di Martino -. Fermare il consumo è difficile, bisogna fermarne la pesca».
Su quattro locali visitati da MeridioNews, dalla Civita ad Aci Castello, nessuno fa mistero di avere nel menu la specialità proibita. E per fugare ogni dubbio del cliente sulla provenienza e sulla qualità del prodotto, precisano: «Tutto pescato locale, freschissimo». «Il mercato illegale dei ricci è una piaga che non si riesce a curare», dice Renato De Pietro, presidente di Legambiente Catania. I primi passi per la soluzione starebbero nell’informazione. Ai clienti «bisogna spiegare le ragioni che motivano i divieti per sensibilizzarli a denunciare le irregolarità», mentre «servono controlli più frequenti ed estesi» per fermare i pescatori. E più azione da parte delle forze dell’ordine. «Leggiamo poche notizie riguardo a sequestri di pescato fuori norma. Sono rare le infrazioni o sono rari i controlli?», domanda De Pietro.
Spetta alla capitaneria di porto controllare il rispetto dei divieti. «Ma anche ai vigli urbani e ad altri corpi di polizia» risponde l’ufficio relazioni con l’esterno della capitaneria catanese. «Per questo i nostri controlli sono più fitti dove manca il presidio di altre autorità». Le pene comprendono la multa, laconfisca delle attrezzature e la denuncia se la taglia minima dei ricci è inferiore a sette centimetri. Cogliere i pescatori di frodo in mare sembra essere la parte più difficile. «Se ci vedono, evitano di riemergere e, prima di farlo, nascondono il pescato sott’acqua». Le ultime operazioni svolte hanno portato al sequestro di quattromila ricci ad Augusta e 114 chilogrammi di polpa a Siracusa, «l’intervento più importante in Italia». Per quel che riguarda i ristoranti, «possono vendere polpa di ricci surgelata in periodi precedenti al divieto». Nei controlli effettuati «abbiamo rilevato infrazioni sulla tracciabilità del pescato ma non abbiamo trovato ricci – dice il maresciallo Basile -. Se c’erano sono stati bravi a nasconderli». Dal 1995, anno in cui sono iniziate le tutele, «la portata della pesca è rimasta costante, a diminuire è stata la domanda».
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