È la «responsabilità politica» dei rappresentanti catanesi a essere indagata dai deputati della commissione regionale antimafia in un documento di 17 pagine. Nonostante l'eventuale assenza di reati. Tra le proposte per eliminare il «clientelismo legalizzato», il divieto di allestire i patronati nelle sedi di partito
Relazione antimafia su otto consiglieri etnei «Anticorpi deboli contro infiltrazioni mafiose»
«Le funzioni politiche si fondano sui principi di fiducia e di dignità». La commissione regionale antimafia siciliana si affida alle parole di Luciano Violante, tratte da un discorso del 1993, per spiegare i motivi che hanno portato i deputati a firmare una relazione sulle possibili infiltrazioni della mafia nel consiglio comunale di Catania. Otto nomi – tre con dei rilievi e cinque con dubbi più o meno forti, secondo l’istituzione dell’Ars – votati alle ultime elezioni amministrative del 2013: cinque di maggioranza – tra cui un presidente di municipalità – e tre di opposizione. La commissione, presieduta da Nello Musumeci, nelle 17 pagine del documento spiega anche i motivi di questa indagine. Tutti politici e da non confondere con le inchieste giudiziarie, prerogativa dei magistrati. «I partiti e la politica hanno mezzi sufficientemente adeguati per impedire l’infiltrazione delle proprie liste attraverso soggetti incensurati ma vicini alle organizzazioni criminali?», è la domanda che fa da sfondo all’intero lavoro. E che precede la presentazione di un’apposita proposta di legge.
A essere analizzata nella relazione è la «responsabilità politica» dei consiglieri etnei che «si caratterizza per un giudizio di incompatibilità tra una persona che riveste funzioni politiche e le funzioni stesse, sulla base di fatti accertati che non necessariamente costituiscono reato». Che si tratti di un eventuale voto di scambio o meno, è piuttosto «l’etica pubblica» la direzione nella quale dicono di guardare i deputati della commissione regionale antimafia. Preoccupati, spiegano nel documento, dalla «variegata presenza nelle istituzioni etnee di soggetti che, pur non avendo violato nessuna norma, hanno certamente adottato, quanto alle proprie frequentazioni, pratiche che non dovrebbero mai essere seguite da rappresentanti della pubblica amministrazione». Il che porta i deputati a interrogarsi sulla «debolezza con cui la politica riesce a formare anticorpi» che la difendano dalle possibili infiltrazioni mafiose.
Anticorpi che la commissione regionale antimafia intende stimolare, almeno nelle intenzioni, con una proposta di legge per «rendere trasparenti le procedure elettorali». I principi base sono esposti nella conclusione della relazione. Si va dall’accorpamento dei seggi per evitare la riconoscibilità delle schede di voto all’introduzione della certificazione antimafia non solo per i candidati, ma anche per i rappresentanti di lista e i membri dei seggi. E ancora l’esposizione delle schede annullate per 30 giorni – per rendere trasparente la presentazione dei ricorsi – e la modifica della legge elettorale per le elezioni comunali nella parte in cui «consente di non dichiarare iscrizioni nel registro degli indagati e rapporti di parentela» relativi ad ambienti mafiosi. Non solo, la commissione individua altre due aree d’intervento: «Il divieto di realizzare nelle sedi politiche sia le sedi di patronato che quelle del Banco alimentare», per evitare il «clientelismo legalizzato», e un maggiore rapporto «tra la prefettura, la procura e i partiti nella fase di formazione delle liste elettorali».