Referendum costituzionale, rapporti Stato-Regioni Il e il no a confronto sui nuovi possibili equilibri

Il prossimo autunno, la data esatta verrà comunicata nelle prossime settimane, gli italiani saranno chiamati al terzo referendum costituzionale nella storia della Repubblica. Bisognerà pronunciarsi sulla riforma Renzi-Boschi che mira a modificare la Costituzione. In particolare, la proposta intende superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari, contenere i costi della macchina istituzionale, sopprimere il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e revisionare il titolo V della parte II della Costituzione.

Gli elettori dovranno decidere se appoggiare la riforma o mantenere l’attuale assetto legislativo. Un e un no separati da un confine politico e ideologico che condizionerà senz’altro lo stesso referendum.

Dell’imminente referendum si è parlato nei giorni scorsi a Messina. La libreria Feltrinelli ha ospitato la presentazione del libro Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali, curato dal giurista Gustavo Zagrebelsky e dal docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino Francesco Pallante. Un’occasione di dibattito tra i sostenitori del no, rappresentanti dallo stesso Pallante, e tra quelli del ai quali ha dato voce Luigi D’Andrea, docente di Diritto Costituzionale dell’Università di Messina.

L’incontro, organizzato da Libertà e Giustizia, è stato moderato dall’avvocato Fabio Nucita che ha sottolineato la necessità di arrivare al voto in modo consapevole, proponendo una lettura oggettiva per valutare una riforma costituzionale che andrà a incidere in un sistema di governo destinato a durare nel tempo.

Per Pallante, la riforma appare confusa. «Non si capisce – ha spiegato a Meridionews – come funzionerà il nuovo procedimento legislativo che probabilmente diverrà molto più complesso, nonostante la riforma punti alla semplificazione. Inoltre, il governo toglierebbe il potere dalle mani del parlamento, per esempio con il voto a data fissa con cui si potrà influenzare l’agenda parlamentare. Sarebbe poi il governo a decidere se coesiste o meno l‘interesse nazionale, nell’ambito di uno spostamento di potere dalla parte dell’esecutivo».

Con la riforma potrebbe mutare anche il rapporto tra Stato e Regioni. «Il nuovo Senato verrebbe eletto dai consiglieri regionali, ma dopo non c’è alcuna garanzia che i senatori facciano gli interessi delle singole Regioni – continua Pallante -. Non hanno infatti diritto di intervenire nel merito della legislazione, per le regioni a statuto ordinario c’è sicuramente una compressione della propria autonomia in nome di una clausola di supremazia. Ma è anche prevista la revisione per quelle a statuto speciale come la Sicilia. Attualmente – prosegue – sembrerebbe salva la parte del titolo V della Costituzione che assegna maggiori poteri alle Regioni a statuto speciale, ma è prevista una revisione di cui non posso prevedere gli effetti».

Di tutt’altro avviso D’Andrea che ammette i punti critici della riforma, considerandola però un passo avanti verso il costituzionalismo contemporaneo e sottolinea il maggiore peso politico che avranno le singole Regioni. «Se vincerà il – spiega – il nostro Parlamento sarà molto più vicino a quelli degli altri stati europei. Gli enti regionali potranno far valere la propria voce direttamente a Roma, al centro del potere. Il nuovo senato costituisce un’importante opportunità per le autonomie locali di essere presenti, lasciando una condizione periferica. La riscrittura del titolo V – sottolinea – recepisce indicazioni che provengono dalle sentenze della Corte costituzionale. Un’eventuale perdita di competenza materiale delle Regioni potrà essere compensata dalla presenza nel Senato. Si tratta – conclude D’Andrea – di un testo che verrà influenzato dalle scelte politiche e giurisdizionali che dovranno dare corpo alle riforme che finora sono solo su carta».


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