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Rapine e magia: tra i talenti dello sciamano, anche le informazioni sulla polizia

«Noi con questi sacrifici siamo tutti protetti vero? Non è che c’è pericolo che qualcuno venga e non è protetto e succede qualcosa?». Magia oscura e le presunte consulenze di uno sciamano reclutato da una banda che metteva a segno rapine a Catania e dintorni. Un gruppo che agiva in maniera maniacale con appostamenti, controlli sulle telecamere, fiamme ossidriche, insospettabili basisti e finte divise della guardia di finanza. Legami che secondo gli inquirenti rimanderebbero al nome di Khalipha Casse. Un 62enne originario del Senegal che avrebbe trasformato la sua fatiscente abitazione in via Geremia, nel cuore del rione San Cristoforo, a Catania, in una sorta di centro nevralgico per la pianificazione di colpi con bottini ingenti. A Khalipha e ai suoi riti oscuri le forze dell’ordine hanno anche deciso di intitolare il blitz che la scorsa settimana ha sgominato la banda. Ma su questa storia, carte alla mano, sono ancora tanti gli interrogativi. Domande che potrebbero aprire scenari che andrebbero anche oltre le pratiche simboliche con candele da accendere per ottenere la protezione degli spiriti.

I soldi per chi proteggeva la banda: «Gli abbiamo dato 30mila euro»

Khalipha, stando ai racconti tra gli stessi indagati, avrebbe avuto una propria rete di contatti legati ai riti propiziatori. «È africano, c’è suo zio che sta la, in Africa. Lui infatti qua non fa niente, accende solo una candela. Poi fanno tutte cose in Africa. Gli chiama lui, a suo zio». A spiegare questo aneddoto è Valentina Maugeri, indagata e unica donna del gruppo. «È quello che ci protegge quando facciamo certe cose», continua in un dialogo intercettato. Khalipha però non avrebbe invocato gli spiriti o contattato lo zio in Africa a titolo gratuito. In un altro passaggio intercettato è sempre la donna indagata a svelare quale potrebbe essere stato il corrispettivo per il 62enne senegalese. «Noialtri quando spostiamo, spostiamo per assai – raccontava – L’anno scorso 112mila euro a testa. Perché 112 a testa? Perché 30mila li abbiamo dati a chi c’ha protetto, che non ha fatto succedere niente».

Il piano per rapinare «un ricco» di Acireale

Ma com’è possibile che per delle rapine di questo tipo gli indagati si siano affidati alla magia di un uomo che accendeva candele in un tugurio a San Cristoforo e vantava contatti con uno zio in Senegal che nessuno a quanto pare conosceva? «Questo lavora anche con quelli della Germania, dell’America, che fanno banche – continuava la donna – Cose dell’altro mondo! Però dopo vuole la sua percentuale. Anche che ci sono state le guardie di faccia a faccia, non lo so che spacchio fa». Di poliziotti e presenze delle forze dell’ordine Khalipha parla in maniera diretta quando per la banda è un momento di magra. Pochi soldi, rapine difficili da organizzare e il dubbio se assaltare la villa di un imprenditore a Taormina, con il rischio di beccare la polizia stradale al casello di Giardini Naxos, o quella di «un ricco che abita ad Acireale» e ha un’azienda di pesca.

Il 10 aprile scorso Khalipha parlava con il connazionale Moussa Diop: «Orazio di Acireale è uno ricco – gli spiegava- e vogliono sapere se ha i soldi a casa o in banca». Contestualmente alcuni degli indagati avrebbero iniziato a pedinare la vittima, tra i ristoranti di Aci Castello e una sala Bingo a Catania. Una fase preparatoria al colpo per capire le abitudini della vittima designata alla quale le forze dell’ordine reagirono con alcuni servizi di osservazione mirati. Presenza, quella dei militari, che però non sfuggì agli indagati. Ed è a questo punto che Khalipha torna in scena chiedendo il supporto del connazionale Moussa Diop e facendo allusioni ad altri personaggi, probabilmente africani. Rimasti non identificati, almeno in questa fase dell’indagine, ma a quanto pare pronti a ottenere le risposte necessarie.

Rapine, magia e la richiesta d’informazioni sulle mosse della polizia

«Vogliono andare ma tutte le volte trovano la polizia, e il tizio quando esce lo segue la polizia. Loro vogliono sapere se la polizia è lì per loro o per un altro motivo. Ti ho detto che voglio sapere se quando è venuta la polizia il tipo ha spostato i soldi, oppure li ha lasciati dove erano», chiedeva Khalipha. Domande alle quali Diop rispondeva alludendo a un’ulteriore chiamate da dover fare a un certo Willane, così da spiegargli la situazione. Khalipha nella discussione indicava però anche altri due nomi per capire il motivo per il quale la polizia controllasse l’imprenditore: «Ora tu devi chiamare Willane, Sane e Diakhate e vedere perché lì c’è la polizia». L’indagato sembra sicuro del fatto suo, parla chiaramente della fiducia riposta nei suoi confronti dalla banda e, per questo motivo, cita che della questione si sarebbero occupati «tre signori, per essere sicuri. Perché loro si focalizzano su quello che dico io». Parole che da un lato descrivono come il 62enne sarebbe stato «il fulcro del sodalizio» per le rapine a Catania e dintorni ma che, dall’altro lato, usando le parole della giudice nell’ordinanza, rimandano a una «fiducia surreale» che i sodali attribuivano alla sua immaginaria magia.


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