Era stato messo all'angolo da nove consiglieri - su 20 totali - dopo diversi mesi di battaglia. Ma adesso il tribunale amministrativo ha dato ragione ad Antonino Grillo. Che commenta: «Volevo soprattutto tutelare una figura istituzionale che deve essere preservata da attacchi di natura politica»
Randazzo, revoca del presidente del consiglio Grillo Il Tar: «Delibera illegittima, Comune paghi le spese»
Una delibera illegittima. Perché pensata per «eludere, per motivazioni esclusivamente politiche, le disposizioni di legge a tutela della figura del presidente». Con queste parole il Tar di Catania condanna il Comune di Randazzo – ma non i consiglieri responsabili della votazione incriminata – a pagare 1500 euro di spese legali al presidente del Consiglio Nino Grillo (nella foto a destra), sfiduciato da una minoranza di consiglieri ad aprile. Un caso giudiziario utile per riaffermare come quella del presidente del consiglio comunale sia «una figura istituzionale che deve essere preservata da attacchi di natura politica», spiega lo stesso Grillo. Ma anche la fine del caso politico che aveva tenuto banco a partire dalla fine dello scorso anno nel Comune del Catanese. Il ricorso presentato da Grillo, assistito dall’avvocato Agatino Lanzafame (nella foto a sinistra), voleva essere «una battaglia per il pieno rispetto della legalità», continua il vincitore del ricorso.
Tutto comincia con le elezioni comunali di giugno 2013, quando Grillo viene eletto – in quota Articolo 4 – con una solida base di preferenze. Da lì alla candidatura come presidente del consiglio, il passo è breve. Proposta approvata da 11 consiglieri su 20, una numero più consistente di quello della stessa maggioranza legata al neo sindaco Michele Mangione. Presto, però, gli equilibri politici cambiano. E cambiano quelli che, per Grillo e il suo legale, sono attacchi politici strumentali. È il 24 ottobre 2013 quando un gruppo di consiglieri prova a far modificare il regolamento comunale introducendo la revoca del presidente. Ed è lo stesso Grillo, in qualità di presidente dell’assemblea, a inoltrarla agli uffici comunali competenti. Ma la proposta cade presto nel dimenticatoio e non verrà mai discussa in aula.
Circa un anno dopo si passa invece a una mozione di censura e, a dicembre, all’atto su cui si basa il ricorso: la proposta di revocare la delibera consiliare con cui Grillo è stato eletto. Tocca sempre al presidente inoltrare la nuova idea dei colleghi al segretario generale e al responsabile del settore organizzativo. Che però danno entrambi parere contrario. La proposta arriva comunque in consiglio. Presentata da nove consiglieri e votata positivamente da altrettanti – uno dei promotori era assente, ma è stato rimpiazzato da un collega favorevole – su 12 presenti. Da qui scatta il ricorso di Grillo e la costituzione in giudizio di otto dei dieci consiglieri coinvolti: Alfio Pillera, Alfio Ragaglia, Concetta Carla Luisa Foti, Maria Serena Russo, Carmelo Giarrizzo, Maria Loredana Arrigo, Franco Giuseppe Minissale e Carmelo Tindaro Scalisi.
Il tribunale amministrativo, però, ha dato torto agli otto, basandosi su due punti. Innanzitutto perché «l’istituto della revoca del presidente del consiglio comunale può essere legittimamente disciplinato solo dallo statuto dell’ente locale». Che, nel caso di Randazzo, non prevede questa possibilità. Inoltre, continuano i giudici del Tar, «la legge regionale prevede che la mozione motivata di revoca debba essere approvata da almeno i due terzi dei componenti del consiglio, cosa non avvenuta nel caso in questione». Per questo, adesso, il Comune di Randazzo sarà costretto a sostenere tutte le spese legali. «Un costo per la collettività che sarebbe potuto essere evitato con una condotta più diligente da parte dei consiglieri comunali», conclude Grillo.