Era arrivata in Italia nel 2006 dalla Romania, alla ricerca di un lavoro per mantenere i sei figli rimasti a casa. L’aveva trovato in una delle numerose aziende di quell’enorme distesa di plastica, legno e acciaio, piante e frutti: le serre della fascia trasformata. Ad offrirglielo era stato un piccolo imprenditore di Vittoria, che le forniva, come spesso accade, anche un letto dove dormire.
Per nove anni è stata obbligata, in condizione di minorità e ricatto perpetuo, a subire la violenza del padrone. Non le erano state imposte solo le condizioni di lavoro: giornate massacranti nelle serre, senza riposi settimanali e malpagate (come di consueto, senza alcun rispetto dei contratti di lavoro); la donna era anche stata costretta a subire abusi durante la notte, quando il proprietario la obbligava ad avere rapporti sessuali. Per quattro volte la lavoratrice è rimasta incinta ed è dovuta ricorrere alle pratiche abortive.
La donna era segregata nel luogo in cui viveva e lavorava (la casa e l’azienda sarebbero nella stessa tenuta): non le era possibile alcuno spostamento temporaneo, perché controllata continuamente. Una volta ha anche tentato la fuga, senza però riuscire ad allontanarsi di molto. Era rimasta nel territorio ibleo e l’aguzzino, prontamente messosi sulle sue tracce, l’aveva ritrovata e ricondotta nella sua proprietà, aumentando il rigore della sorveglianza e della violenza.
Due settimane fa la quarantacinquenne romena è riuscita a mettersi in contatto con una associazione che gestisce un centro anti-violenza e ha denunciato la propria schiavitù. Salvatore Nicosia, sessantasettenne vittoriese, è stato quindi ieri mattina arrestato dai carabinieri di Ragusa e portato in carcere. È accusato di sequestro di persona aggravato e violenza sessuale continuata. Nella sua casa è stato trovato anche un fucile non registrato.
La donna era stata tra le pioniere del vasto fenomeno migratorio che ha visto la provincia di Ragusa accogliere un flusso esploso nel 2008 e che oggi – le statistiche ufficiali non tengono conto dei migranti non registrati – conterebbe più di una decina di migliaia di migranti romeni, il quaranta per cento donne. La concentrazione maggiore è nel territorio dei tre Comuni di Vittoria, Acate e Santa Croce Camerina.
La presenza di migranti e operatori del comparto ortofrutticolo, traino dell’economia locale, provenienti dell’Africa settentrionale è stata eguagliata (e probabilmente superata) dagli est-europei, prevalentemente romeni. In pochi anni si è scatenata un’asta al ribasso nel ciclo tra domanda e offerta di lavoro: per almeno dieci ore quotidiane in serra il bracciante percepisce una cifra tra i quindici e i trenta euro. Spesso i migranti vivono in alloggi di fortuna, nella vasta (e incontrollata) campagna, le cui condizioni igienico-sanitarie sono inadeguate; a fornire l’abitazione è, altrettanto spesso, il datore di lavoro, che trattiene una parte del compenso come canone.
Nella provincia iblea la condizione di schiavitù lavorativa è stata denunciata più volte negli anni. Al centro delle accuse, non solo i bassi compensi e il caporalato, ma anche le violenze sessuali subite. Le lavoratrici di sesso femminile, in costante aumento, vivono in condizione di ricatto perpetuo: pagate con acconti mai saldati se non soddisfano gli appetiti sessuali dei padroni, che organizzano anche i festini agricoli, in cui le migranti vengono costrette a prostituirsi con amici e parenti del padrone. La possibilità di sfuggire al ricatto è nulla, equivalente al potere contrattuale delle stesse.
Alcune hanno provato anche a ribellarsi, lo segnala chi opera sul territorio. La camera del Lavoro di Vittoria e la Flai-Cgil hanno organizzato un servizio di trasporto gratuito (il Solidal Transfert), che porta i lavoratori dalle campagne al centro della città per adempiere le operazioni quotidiane. I migranti vengono così raggiunti ed ascoltati. Gli operatori della cooperativa sociale Proxima hanno raccolto più di duecento drammatiche testimonianze: in un caso denunciato alcuni mesi fa, una donna (con il figlio minore) veniva ricattata attraverso il negato accesso all’acqua potabile – che scarseggia nelle campagne, considerate le condizioni della rete idrica.
Le interruzioni di gravidanza praticate all’ospedale di Vittoria richieste da donne straniere nel triennio 2012-2014 sono state 309, dichiara il direttore dell’Asl. Quasi la metà di queste hanno riguardato donne romene. È inoltre noto che i medici ipparini sono tutti obiettori di coscienza e, per garantire il servizio, un giorno la settimana una equipe sanitaria dalla vicina Modica si trasferisce a Vittoria, praticando circa cinque interventi ogni volta.
Il Comune ibleo è quello con la maggiore estensione di coltivazioni plastificate e, secondo un’interrogazione parlamentare presentata a marzo, anche quello con il maggior numero di aborti in relazione alla popolazione. Secondo il sottosegretario agli Interni Domenico Manzione però il fenomeno sarebbe «non significativamente esteso […] e sostanzialmente stabile», considerate le denunce di soli due casi di violenze nel 2012 e nel 2013, uno nel 2014.
Nel territorio però, chi lavora a stretto contatto, sa quanto sia difficile arrivare alla denuncia. E quanto invece quotidianamente venga ricondotto al silenzio. Con il celato supporto di una comunità che, in ogni occasione in cui è stata denunciata la condizione di sfruttamento, si è sempre rivelata pronta a trincerarsi nel pregiudizio o nell’omertà come abili forme di auto-difesa.
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