I nostri uomini non li mandiamo più in guerra, gridò una donna ragusana durante il secondo conflitto mondiale, sdraiandosi per terra davanti a un camion militare. Dal suo gesto nacque un movimento di protesta. La sua storia l'ha raccontata durante l'ultima puntata di Radio Luxembourg, Silvia Ragusa, giornalista e autrice di una tesi sul tema pubblicata da Prospettiva editrice
Ragusa ’45 e l’urlo di Maria Occhipinti
La mattina del 4 gennaio 1945, a Ragusa, tra corso Vittorio Emanuele e via 4 Novembre c’è una donna stesa a terra davanti ad un camion militare. La donna è Maria Occhipinti ed è incinta ma non sta male, sta a terra per scelta. Per protesta. Protesta contro i rastrellamenti che avevano portato molti giovani ragusani su quel camion e con il suo gesto ne favorisce la fuga e la diserzione.
Scoppia un’insurrezione che dura quattro giorni. I soldati sparano sulla gente, gli scontri sono violenti e solo con l’arrivo della Divisione Sabauda, l’otto gennaio, gli insorti vengono fermati. Un centinaio di loro vengono incarcerati, molti sono comunisti. Tra gli arrestati c’è una sola donna: Maria Occhipinti. Finisce al confino ad Ustica, dove darà alla luce la figlia, e poi in carcere a Palermo.
Maria ha ventitre anni, è incinta da cinque mesi e urla: i nostri uomini non li mandiamo più in guerra. È alla testa del movimento Non si parte! e, insieme a Franco Leggio, guida le insurrezioni popolari, che nel secondo dopoguerra si sono diffuse in Sicilia, contro la chiamata alle armi dell’esercito che il governo Badoglio voleva far crescere.
Dopo due anni torna a Ragusa, in braccio regge la sua bambina. Le cose sono cambiate, le rivolte terminate e il marito vive con un’altra donna. Se non bastasse in molti la considerano una donna indegna per i suoi trascorsi, una donna lontana dagli usi e dai costumi siciliani del tempo. Era iscritta al Pci e alla camera di lavoro, troppo per una donna di quegli anni. Maria lascia Ragusa e viaggia per l’Italia: Napoli, Ravenna, Sanremo, Roma e Milano. Poi la Svizzera, il Marocco, la Francia e il Canada. Arriva a New York e lavora come infermiera. Nel 1973 torna in Italia, va a vivere a Roma.
In Svizzera scrive la sua autobiografia, Una donna di Ragusa, a Roma scrive articoli di carattere politico e sociale. Difende le donne vittime di ingiustizie, denuncia le condizioni in cui lavorano le domestiche spesso vittime di violenze sessuali. Appoggia la lotta dei contadini ragusani a cui vengono espropriate le terre a prezzi irrisori. Compone anche novelle dove alterna il suo ragusano all’italiano, e nel 1993 viene pubblicata la raccolta Il carrubo e altri racconti. Nell’ultima fase della sua vita si avvicina agli ambienti anarchici, muore nel 1996.
Viene dimenticata fino agli anni sessanta. Ci si accorge troppo tardi del suo costante impegno in favore dei più deboli, delle sue riflessioni sulle primitive condizioni in cui vivevano le donne siciliane del dopoguerra e della sua totale opposizione alla guerra e alle ingiustizie. Ci si rende conto tardi del valore della sua opere letteraria che la pone a pieno titolo tra i grandi nomi della letteratura femminile italiana. Qualcuno direbbe che ha vissuto una vita da film, quel qualcuno non sbaglierebbe, la vita di Maria Occhipinti diventerà anche un film.