Raffale Lombardo commenta la sentenza «Non ho chiesto voti alla mafia, non ne ha»

«Il perno sul quale ruota il mio ruolo di mediatore tra le mafie è un’intercettazione nello studio dell’editore Mario Ciancio nella quale non c’è alcunché di penalmente rilevante. Per quale motivo una sentenza dovrebbe essere incentrata su questa intercettazione irrilevante?» Il racconto riguardante  l’incontro avvenuto il 28 luglio del 2008 tra l’ex presidente della Regione siciliana e l’editore-direttore del quotidiano La Sicilia e imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo è stato il cuore della conferenza stampa all’hotel Excelsior indetta da Lombardo per commentare le motivazioni della sentenza che lo ha condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Un documento di 325 pagine, depositato lo scorso 18 agosto, in cui il gup di Catania Marina Rizza spiega il ruolo del fondatore dell’Mpa come creatore «di un complesso sistema organizzativo ed operativo» a vantaggio della famiglia Santapaola-Ercolano di Cosa nostra. Ma in cui si fanno anche numerosi riferimenti agli affari dell’editore attualmente sottoposto a un’altra indagine da parte della procura di Catania.

Lombardo, barba lunga, con accanto gli amici penalisti Galati e Brancato oltre ad alcuni simpatizzanti, ha scelto di non aspettare i suoi difensori attualmente fuori regione, per soffermarsi sui vari punti che hanno portato alla condanna: dalle prime fasi del processo per voto di scambio semplice nato dall’inchiesta Iblis , fino alle dichiarazioni dei numerosi collaboratori di giustizia sentiti a processo. «Con la mafia non ho mai avuto rapporti e ho contrastato i termovalorizzatori che erano l’affare più sporco – ha spiegato l’ex presidente – Non ho chiesto voti alla mafia e il motivo più banale è perché non ne hanno di voti, sono persone costrette a nascondersi».

Tra il malloppo di carte con cui Lombardo si è presentato in sala ci sono, oltre alla sentenza, anche delle fotocopie per i giornalisti. «Prendetele! – dice più volte – Questa intercettazione spunta fuori (racconta riferendosi all’incontro del 2008  avvenuto alla sede de La Siciliandr) dopo l’ultima proroga chiesta dal giudice Rizza. Una intercettazione in cui io mi recai da Ciancio che è l’editore de La Sicilia. Intercettazione che era a disposizione dei magistrati da sei anni e che è stata tenuta nascosta. Tutta la sentenza ruota attorno questa discussione».

I prossimi passi della battaglia giudiziaria dell’ex leader autonomista, dopo la presentazione dei motivi d’appello, prevista per settembre, saranno la riattivazione del suo blog e l’utilizzo di Facebook: «Pubblicherò integralmente le motivazioni della sentenza – conclude – perché voglio dialogare con i cittadini. In questa decisione c’è un conflitto con fatti, prove e risultanze di processi fatti dal tribunale di Catania e da altri collegi giudicanti. Procederemo contro il pentito Gaetano D’Aquino che è stato ritenuto inattendibile nonostante sulle sue dichiarazioni sia nato il processo con l’aggravante per mafia. Ho comunque una fiducia assoluta nei confronti della magistratura e resta incondizionata. Mi interessa recuperare la mia più assoluta onorabilità».

 


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Barba lunga e malloppo di carte alla mano, l'ex presidente della Regione siciliana commenta da una sala dell'hotel Excelsior le motivazioni del giudice che lo ha condannato a sei anni e otto mesi in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Con un passaggio anche sui rapporti con l'editore Mario Ciancio Sanfilippo. Prevista per settembre la richiesta d'appello: «Mi interessa recuperare la mia più assoluta onorabilità»

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