Racconto di un Erasmus in cerca di avventure: il linguaggio e l’intolleranza

Alla stazione di Coventry, passando in fretta e furia per prendere il treno, mi sono imbattuta in un manifesto pubblicitario: “No Tolerance” a carattere cubitale “for any offences in our trains” o qualcosa di simile.

La scritta “No Tolerance” ha catturato la mia attenzione, e dire che sono passata da là più volte, e tutte le volte “No Tolerance” mi si piazza davanti agli occhi, in modo disturbante, inquietante quasi invadente. Poi subentra la riflessione o meglio la scritta meno evidenziata “for any offences” o quello che è, e allora mi riprendo. Tutto normale, perché essere tolleranti verso il linguaggio offensivo?

 

Se poi guardo gli altri cartelloni pubblicitari, a parte che non ci sono muri devastati neanche da manifesti funebri, quei cartelloni non hanno nessuna donna nuda, o semi svestita che pubblicizza l’acqua (d’altronde è insapore), la macchina, il cellulare o qualunque altra cosa.

Bella storia, penso.

La donna non è oggetto di pubblicità, non è oggetto per vendere ora questo ora quello, non è insomma uno strumento, è persona. Ha dignità.

 

Non avendo la possibilità di guardare la BBC in quanto non ho né i soldi, né lo spazio in valigia per mettere un televisorino e comprare una licenza, lascio perdere la TV e mi soffermo sui giornali.

Certo, c’è il Sun, The London Paper, The Lite (questi ultimi due sono diffusi gratuitamente nella metro di Londra) che non sono né il Times, né il The Guardian, e che per compensare la politically correctness di quest’ultimi, si dilettano nel gossip compulsivo.

Però è anche vero che non sono rappresentanti di una nazione, cosa che invece La Repubblica e Il Corriere della Sera sono, o dovrebbero essere, nei confronti dell’Italia.

Se infatti si considera la quantità di gossip che l’informazione nazionale italiana riporta, per giunta in posizione di evidenza, quasi a sottolinearne l’importanza o comunque ad invogliarne la lettura, si sospetterebbe sulla serietà di questi giornali nazionali.

E dire che la BBC, poco tempo fa, si chiedeva se era il caso di trasmettere le parolacce dette durante un concerto o se, per correttezza, dovrebbe eclissarle sottoforma di bip. E’ la rete nazionale d’altronde e poco importa se i film sono pieni di turpiloqui.  La BBC è la BBC.

 

Qui insomma prestano attenzione al linguaggio.

A lezione ad esempio lo scorso trimestre, è entrato un docente che ha predicato una maggiore attenzione nell’uso del linguaggio su Facebook, una specie di blog su cui si possono caricare immagini e si può scrivere liberamente. Mi sono chiesta se fosse successo qualcosa, offese, scandali, proteste. No, nulla di tutto ciò. Solo un reminder che la lingua conta e le offese anche se involontarie fanno male e cosa peggiore, non ce ne rendiamo conto dando tutto per scontato. E sarebbe anche l’ora di ricordarselo. Una predica preventiva insomma.

 

Caprarica nel suo libro “Dio ci salvi dagli inglesi” lamenta una certa ossessione verso il politically correct language specie quando agli auguri di Natale vengono sostituiti i “seasonal greetings” più generici e che non contemplano la prevalenza del Natale sulle altre religioni.

Eppure a parte la singola questione, discutibile, in effetti il linguaggio sia esso immagine o parola conta. E va pesato. E la gente che ha un ruolo pubblico sta attenta a come parla. Si pensino ad esempio le infelici espressioni dei polticanti di turno italiani o ancora l’insensata definizione che Riotta ha dato a Sabina Guzzanti come risposta alle sue critiche durante il V-day circa la serietà dell’informazione: “le critiche della soubrette”, dove “soubrette” è un’offesa che denota qualcosa in più, quel qualcosa difficilmente adattabile ad un uomo.

 

Sta di fatto che Sun a parte, o gente che va vestita secondo il proprio gusto anche qui in Inghilterra ovviamente, l’immagine della donna nella pubblicità non è sfruttata come in Italia.

E dire che l’Italia ha sempre vantato una forbita tradizione linguistica, per una volta dovrebbe fare autocritica e accettare una lezione dagli ex “barbari” proprio sull’uso del linguaggio.

No tolerance for offences? Mi pare che sia arrivato il caso di considerare il linguaggio offensivo una volta per tutte come inammissibile, sia esso parola o immagine pubblicitaria che sfrutta il corpo femminile per puro business.

Lucia Occhipinti

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