Questo buio feroce: omaggio di Delbono a Brodkey

Titolo: Questo buio feroce

Ideazione e regia: Pippo Delbono

Scene: Claude Santerre

Luci: Fabio Sajiz

Costumi:Carla Taddei

Interpreti: Pippo Delbono, Dolly Albertin, Gianluca Ballaré, Raffaella Banchelli, Bobò, Margherita Clemente, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Gustavo Giacosa, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo.

 

 

 

“Essere malato assomiglia all’esperienza dell’essere nudi in pubblico”: questa citazione, tratta dall’autobiografia di Harnold Brodkey dal titolo “Questo buio feroce”, può spiegare lo stato d’animo dell’autore che ha combattuto per molti anni con la sua malattia, l’AIDS, portandolo alla morte nel 1996. E questo stato d’animo è lo stesso che Pippo Delbono, ideatore e regista dello spettacolo che prende il nome proprio dall’omonima autobiografia dell’autore statunitense, mette in scena in un palco spoglio, composto da una scenografia semplice, fatta solo di tre pareti bianche, come se fosse la coscienza dell’uomo, una poltrona, delle sedie, un tavolo a mò di altare… ma la vera scenografia sono le persone, gli uomini che si susseguono lentamente sul palco, con vestiti che coprono tutte le epoche, dagli Egizi, al Medioevo, al Rinascimento, al futuro, scandendo i momenti che condurranno il protagonista ad un’inevitabile fine.

 

Tutto ha inizio con un uomo, nudo con il volto coperto da una maschera: è la malattia, l’AIDS, o forse tutte le malattie, tutto ciò che rende diversi, tutto ciò che l’ipocrisia del mondo “normale” reputa sbagliato, fuori posto, che getta i cosiddetti “malati” in quel “buio feroce” che li avvolge e li schiaccia. Così il buio feroce diventa il mondo normale che, molto più della malattia, trascina quegli uomini in una profonda solitudine e disprezzo di tutto, dalla tecnologia alla moda, alla religione, alla storia. “La storia è uno scandalo, come la vita e la morte”, parole di Brodkey che Delbono riprende e rafforza ingegnosamente per tutta la durata dello spettacolo, servendosi anche della musica che, meglio di qualsiasi parola, trasmette il suo messaggio, penetrando nello spettatore e muovendo in lui tante sensazioni, fino a farlo sentire quasi colpevole del suo essere normale, del suo far parte di questo “buio feroce” che sovrasta i protagonisti dello spettacolo. Lo spettacolo non è composto da scene con una continuità interna, ma sono frammenti di vita quotidiana che vogliono trasmettere diversi stati d’animo, percezioni della vita illuminate da luci forti, luci di ipocrisia che invece di migliorare la vista dell’uomo, lo rendono cieco e insensibile nei confronti di quelle figure cupe, ormai colpite dalla malattia, che pian piano si spengono gradualmente come le luci sul palco.

 

Così il protagonista non è un unico uomo, ma tutti coloro che vengono considerati diversi, “a-normali”, aspetto intelligentemente sottolineato dal loro essere nudi, spogliati dell’aura di “normalità” che avvolge il mondo e che si trasforma in ipocrisia, abbandono, solitudine. Inaspettatamente, ciò che poteva sembrare la fine di questi uomini, si rivelerà l’inizio della loro libertà, simboleggiata da una danza che rompe le catene degli schemi che schiavizzano l’uomo.

Quest’opera teatrale, apparentemente incoerente agli occhi di uno spettatore distratto, in realtà dimostra  una profonda coscienza e analisi del mondo contemporaneo, messa in scena da Pippo Delbono con grande maestria, in modo forse poco consueto, ma proprio per questo molto efficace.


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