Qualcosa che non potevo aspettarmi

SINCE IT’S CHRISTMAS! LET’S BE GLAD! EVEN IF YOUR LIFE’S BEEN BAD/ THERE ARE PRESENTS TO BE HAD/ TAKE A WALK PUT IN THE SNOW/ AND HEAR SANTA’S HO HO HO/ HE’S GOT A MILLION MILES TO GO/ LA LA LALA LA LALA LA LALA LA LALA LA LA LA
 
Cazz’è sto casino?? Ah sì ecco cos’è. È la radiolina che risponde ai miei calci. Fanculo a chi l’ha messa lì, fanculo a me. L’afferro e la sbatto dall’altra parte del letto, affogata da coperte e giornali vecchi. Scrollandomi nel buio, trovo anche il piatto di ieri sera. Mi devo essere addormentato, mi capita di continuo di questi tempi. Ma che sto facendo? Sto pensando? Chissenefotte della radio, del piatto fondo insozzato di zuppa, del piumone che è troppo alto, di ‘sti vestiti che, levarmeli, sarebbe ora come scalare una montagna. No, non ce la posso fare, è notte, sono stanco morto, ho le vertigini, fuori grandina e sembra come se un ammasso di insetti stia camminando sul vetro della finestra. Lì, su tutta la circonferenza, li sento, si muovono su e giù, a destra, si fermano, muoiono, ma di nuovo ricominciano a camminare, puntuali, meschini. Anzi no, è assolutamente lo stesso fruscio di quando si stava dentro la macchina mentre veniva strigliata all’autolavaggio. Le spazzole enormi, gli spruzzi d’acqua, il sapone. Una specie di astronave per noi, un sottomarino. È tardi, ho sonno.
 
Poi succede una cosa che potevo aspettarmi.  Scalciato anche quello, il piatto finisce per terra e si frantuma. Fa un buco nella notte: come una vampata, un fuoco fatuo. E allora è in quel momento che il sonno muore e m’alzo barcollando fino ad accendere la luce. Lo spettacolo è da quadro astratto. Manco vomitando, avrei composto quel capolavoro di schizzi sul pavimento. Devo raccogliere qualche coccio, almeno assorbire un po’ di quella poltiglia. Vado in bagno, l’interruttore sta dietro a un mobile che mi sono sempre ripromesso di scansare qualche centimetro più in là. Non l’ho mai fatto. Chissà perché, forse è più avventuroso tastare nella notte? Forse per allontanare la banalità di un facile clic? Forse perché m’è sempre passato di mente? No, la verità è che non l’ho mai fatto a causa della mia sorella gemella, la pigrizia.
 
Continuo a sgrullare qualche pensiero del genere finché, bingo! Ecco il simpatico tasto bianco. Lo premo, svegliandolo nel suo sonno. Rovisto un po’ ed ecco che m’arrotolo tra mano e polso una decina di giri di carta igienica, mi servirà per tamponare la minestra alla zucca finita per terra. Poi però succede qualcosa che non potevo aspettarmi. Qualcosa ancora di più inquieto della mia sonnolenza strana. Nello specchio incrostato di dentifricio, la mia immagine non c’è. Eccheccazzo. M’avvicino, spalmo la mia fronte sulla superficie, ma nulla. Tachicardia, la carta igienica mi scivola dalla mano, non è più tempo di pulizie, c’è un problema ben più grosso da risolvere. Provo a muovermi per vedere se riappare. Spengo e riaccendo la luce, mi sbriciolo gli occhi coi pugni, mi prendo a schiaffi, schivo un conato afferrando il lavandino. Ma che diavolo…?!
 
Beh è semplice, è tutta una specie di allucinazione da dormiveglia. Le coperte mi stanno facendo bollire e sto andando in delirio. Ma il problema è che sento bene gli odori, sento anche il freddo delle calze troppo leggere per l’inverno. Sento il mio stomaco brontolare e sento il casino che fa il frigorifero col suo motore spompato. Dunque pare tutto vero, realistico. E intanto in sto specchio sta faccia non c’è. Riprovo. Nulla. Vedo tutto: il cesso, il bidet con un secchio appollaiato sopra, quel capelluto del mocio che si regge sulla parete. Un cruciverba a metà e con il volto di Madonna pastrocchiato di baffi, barba e corna. Ma non vedo me, non ci sono, proprio no.
 
Chissà cosa avrei fatto se fossi stato a Casa. Di sicuro avrei chiamato i miei, credo che avrei acceso la tv per vedere se tutto era normale. Oppure avrei guardato fuori per capire se quest’anno la mia via sarà illuminata di luci natalizie. Forse avrei aspettato sveglio il solito calesse che passa alle 4, con quel richiamo: “Oooooh”, lo scricchiolio del legno e gli zoccoli del cavallo a scrosciare sull’asfalto. Forse mi sarei seduto in balcone, occupando il posto che prendeva il mio cane prima di morire. Forse mi sarei rimesso a dormire e basta.
Così apro il rubinetto, mi do una bella sciacquata alla faccia, un altro ceffone e torno tra le coperte. La notte passa abbastanza serenamente con nel naso l’odore che fa il Natale: quel caramellato misto a muschio.
 
Di mattina la mia immagine è finalmente tornata a riflettersi nello specchio di casa. Mia madre m’ha buttato giù da letto, come al solito alle 9, e c’è odore di caffé dappertutto. Lei ha anche addobbato la casa con mille colori. Mi affaccio alla finestra con una tazza tra le mani. No, quest’anno nessuna luce a intermittenza a forma di stella o pupazzo di neve, solo qualche prato sintetico sui marciapiedi davanti ai negozi. Finisco il caffè e mi siedo in salotto. Penso:
mi sono dimenticato di mettere in valigia il cruciverba.
Pazienza.


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