Alle elezioni del ’94 Cosa Nostra avrebbe appoggiato Silvio Berlusconi aspettandosi in cambio interventi legislativi sul regime del carcere duro a cui erano sottoposti diversi boss mafiosi. A rivelarlo, nel processo bis per la strage di Capaci in cui vennero uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, è stato il collaboratore di giustizia Pasquale Di Filippo, sentito come teste dell’accusa dalla corte d’assise di Caltanissetta. «L’ho saputo da Bagarella che dovevamo votare Berlusconi – ha detto Di Filippo, deponendo in videoconferenza – ma dopo la sua elezione lui non fece nulla per aiutarci. Ne parlai con Bagarella e lui mi rispose «lascialo stare, mischinazzo (poverino ndr), adesso non può fare niente». Secondo Di Filippo il boss corleonese, Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, avrebbe in qualche modo giustificato l’inerzia di Berlusconi col fatto che il leader di Forza Italia in quel momento «aveva addosso – ha spiegato il pentito – gli occhi di altri soggetti politici e non poteva muoversi, ma che appena gli fosse stato possibile avrebbe fatto qualcosa». Il processo, che vede imputati i capimafia Salvo Madonia, Vittorio Tutino, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Vincenzo Tinnirello, riprenderà dopodomani con il controesame dei periti che si occuparono di analizzare l’esplosivo usato per la strage.
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