Processo Mori: le telefonate temerarie di Mancino

In un clima avvelenato dalle polemiche, con un ‘pezzo’ di Stato italiano che, piaccia o no, è finito alla sbarra, stamattina, presso il Tribunale di Palermo, il pubblico ministero, Nino Di Matteo, ha iniziato la requisitoria nel processo ai militari del Ros (Reparto operativo speciale dei Carabinieri). Sotto accusa sono il generale, Mario Mori, e il colonnello, Mauro Obino, accusati di favoreggiamento a Cosa nostra.

La requisitoria dovrebbe articolarsi in quattro udienze. Tra qualche mese si aprirà, sempre a Palermo, il processo per la cosiddetta tratta6tiva tra Stato e mafia.

Stamattina sono state citate le telefonate tra l’ex Ministro dell’interno, Nicola Mancino, e il consigliere del presidente della Repubblica, Loris D’Ambrosio. Queste telefonate, secondo il pm Di Matteo, sarebbero state “uno dei tanti tentativi di strumentale inquinamento della prova in questo procedimento”.

Stando alla requisitoria di Di Matteo, l’ex ministro Mancino, al telefono, sembra preoccupato. Tema il confronto in aula con l’ex Guardasigilli, Claudio Martelli. Duro il commento del pm: “Questo – ha detto nelle requisitoria – è il processo nel quale Mancino ha palesato di non tenere in conto l’autonomia del vostro giudizio, chiamando il consigliere del Presidente della Repubblica, Loris D’Ambrosio, cercando conforto nelle più alte cariche dello Stato per evitare il confronto”. Per la cronaca, D’Ambrosio, ex magistrato, collaboratore del capo dello Stato, Napolitano, è deceduto nel luglio dello scorso anno, colpito da infarto proprio mentre infuriavano le polemiche sulle intercettazioni telefoniche tra il Quirinale e Mancino.

Il processo che si celebra a Palermo, come già ricordato, vede imputati gli alti ufficiali dei Carabinieri, Mori e Obinu. I due, a giudizio dell’accusa, sarebbero i responsabili della mancata cattura del boss mafioso, Bernardo Provenzano. I fatti contestati risalirebbero ai primi anni ’90.

I due alti ufficiali – questo il passaggio importante della requisitoria – non avrebbero agito perché “collusi” o “per paura”, ma perché “in un determinato e delicato frangente storico, obbedendo ad indirizzi di politica criminale per contrastare le stragi, hanno ritenuto di trovare un rimedio assecondando l’ala più moderata di Cosa nostra”. Mori e Obinu, ha affermato il pm Di Matteo, si sarebbero mossi “per favorire la fazione riconducibile a Provenzano”. Per garantirgli “la leadership in Cosa nostra hanno ritenuto necessario garantire il perdurare della sua latitanza”.

Di Matteo ha invitato i giudici a non avere “pericolosi e istintivamente comprensibili pregiudizi di fronte ad accuse così imbarazzanti nei confronti di due uomini dello Stato”, ma a valutare “con intelligenza, senza paura” il fatto che, “di fronte alla violazione della legge, anche uomini così potenti non possono sottrarsi alle loro condotte”.

Il pm ha definito “drammatico” il processo in corso. Il riferimento è alle “dichiarazioni rese o no, fingendo di non ricordare da parte di politici, funzionari dello Stato e alti ufficiali dei Carabinieri”. Di Matteo ha ricordato, in particolare, le deposizioni del l’ex Ministro Mancino, degli ex Ministri Martelli e Scotti e dei militari del Ros. Uomini dello Stato che, di fronte agli stessi fatti “hanno reso dichiarazioni contraddittorie e incompatibili fra loro”. Quindi una precisazione dello stesso pm che, forse, non farà dormire sonni tranquilli a politici e alti ufficilai dei Carabinieri: “Noi sappiamo – ha detto Di Matteo – chi tra di loro abbia mentito”.

Anche se si sta facendo di tutto per indebolire i coraggiosi magistrati inquirenti di Palermo – come il tentativo di appannare l’immagine dello stesso Di Matteo e de procuratore capo della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo, quelli che si annunciano come i processi destinati a fare luce sulla torbida stagione degli anni ’90 vanno avanti. A nostro modesto avviso, ne vedremo delle belle.

 


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