Credo non si potesse avere risposte tecnicamente più centrate, almeno per quanto posso valutare io che tecnico non sono, se non altro per la nota precisione e competenza del collega Pignataro. Credo anche che l’inizio e la fine di quanto ha scritto contengano tutto. Una Università che vede nei Consorzi solo enti pagatori, Consorzi che […]
Prima dare, poi ricevere
Credo non si potesse avere risposte tecnicamente più centrate, almeno per quanto posso valutare io che tecnico non sono, se non altro per la nota precisione e competenza del collega Pignataro. Credo anche che l’inizio e la fine di quanto ha scritto contengano tutto. Una Università che vede nei Consorzi solo enti pagatori, Consorzi che interpretano se stessi come enti pagatori e come tali cercano di resistere agli esborsi. Una Università che resiste ad ogni valutazione e – aggiungo- quando proprio deve sottoporsi a valutazione tenta disperatamente di farlo elaborando meccanismi e indici da se stessa. Ovvero tenta disperatamente e inconsultamente di prolungare la propria agonia autoreferenziale. A questa Università si può solo augurare di cuocere nel brodo nella quale ogni giorno spontaneamente si immerge sempre più.
Questa Università, per fortuna, riceve sempre meno finanziamenti dalla gente, dalle famiglie, dalle Imprese. E dai Consorzi, stanchi forse di essere costretti con accademica arroganza a mantenere anche chi a lezione non ci va mai o quasi mai, chi ricerche sul territorio non ne fa mai o quasi mai, chi non si pone nemmeno l’obiettivo di ascoltare, identificare obiettivi, pianificare le attività, reperire risorse, monitorare, migliorare sempre. Non fosse che ci vanno di mezzo i giovani ricercatori, quelli che lavorano senza cartellino e senza orario per portarsi avanti senza mai pensare alla busta paga che forse non verrà mai e che quando verrà sarà meno di quella di un vigile urbano del piccolo comune vicino la città (senza nulla togliere).
Ma non è nemmeno questo, non l’ha detto il medico di fare il ricercatore o il prof, peggio per chi si intestardisce, potremmo affermare. Ma se il Paese (scusate uso anch’io la parolona in bocca a tutti) va indietro è perché il tasso di innovazione nelle imprese è basso, non c’è valore aggiunto in quello che si fa. Insomma non c’è istruzione di base, non c’è collaborazione Università – Impresa, non ci sono ricercatori motivati. A che pensa la pletora di yes men che scalda gli augusti scranni quando si parla addosso di sviluppo? Alle prebende del burattinaio cummenda a fine votazione? Ma ci si morde il posteriore da soli: il Paese non ci darà mai più fiducia in bianco e fare cultura, didattica, ricerca senza accettare fino in fondo di monitorare i risultati toglie affidabilità e rispettabilità al Sistema, in altre parole è la negazione della cultura stessa.
Scendiamo fra la gente comune, le famiglie che hanno i loro figli da noi, le imprese che hanno bisogno di noi (non sempre lo sanno, facciamo in modo che lo capiscono) la società che non vuole più mantenerci a scatola chiusa, scegliamo insieme gli obiettivi spiegando meglio il nostro ruolo e quello che avranno i nostri figli della nostra azione, cioè gli studenti che poi si laureano. Speriamo noi per primi che i Consorzi sappiamo trovare forza, cultura e dignità per chiudere la borsa e aprirci gli occhi. Il cammino passa da Canossa, le scorciatoie nel bosco delle cifre non portano a niente. Una speranza: se faremo quanto sta a noi, quando si tornerà a fare politica seria (non c’è scelta, tanti andranno a casa senza nemmeno ricordarsi dove sono stati) si ricomincerà daccapo e i risultati verranno. Magari, non ci vorrà nemmeno tanto tempo.