Per le strade di Catania insieme agli insegnanti che hanno preso parte al No-Gelmini Day: i tagli alla scuola bruciano sulla pelle di chi perde il lavoro. Ma, secondo i manifestanti, a sentirne il peso saranno presto studenti e famiglie: «Senza di noi non si può andare avanti»- Vento di settembre - Prof. col megafono - Precario... sedotto e abbandonato dallo Stato
Precari, superflui, praticamente indispensabili
Un sabato mattina di ordinaria protesta, il 5 settembre, a Catania. Alle 9 del mattino, il tratto di via Etnea antistante la Prefettura è stato invaso da più di un migliaio di manifestanti. Non erano studenti medi con lo zaino in spalla e i libri dentro, non erano universitari arrabbiati coi jeans strappati e le tasche vuote: erano insegnanti. Vestiti di nero, a lutto, portavano in spalla una bara di cartone, piangendo la morte della pubblica istruzione, quella che un tempo dava loro lavoro, adesso non più. Dall’1 settembre hanno occupato il Provveditorato e non intendono andarsene finché la loro protesta non sarà ascoltata.
Il No Gelmini Day è nato spontaneamente, e ha portato in strada storie di vita e di affanni, che avevano i volti di maestre delle elementari, docenti di sostegno, professori delle scuole secondarie che dopo dieci, quindici, vent’anni di precariato, quest’anno, per la prima volta, non entreranno in aula per fare l’appello.
«A quarantotto anni, dopo quindici anni di precariato nella scuola primaria, non ho un posto di lavoro». Si chiama Grazia Coco e non è una storia diversa dalle altre, la sua. Nella sola provincia di Catania, si parla di 1.500 nomi e cognomi che non firmeranno un contratto e, di conseguenza, non percepiranno uno stipendio. In tutta la penisola, i numeri si alzano incredibilmente, si arriva a 18.000 tagli e non è difficile parlare del più grande licenziamento di Stato che l’Italia abbia mai visto.
«La scuola italiana sta morendo, è in agonia. Bisogna sollecitare l’opinione pubblica: noi abbiamo perso la nostra dignità di docenti, ma le famiglie devono sapere che questo avrà una forte ricaduta sui loro figli», conclude.
Fernanda Valenti è una docente di sostegno, «per scelta», ci tiene a precisare. Precaria da sempre, cioè dieci anni, per la prima volta dall’inizio di quest’anno scolastico non avrà nessuno da seguire. «Ho sempre viaggiato tantissimo», ci racconta. «L’anno scorso ero a Vizzini e avevo un’alunna meravigliosa, che ho dovuto lasciare perché è quello che io e i miei colleghi siamo costretti a fare dopo aver lavorato per un anno. Non ci è concessa la continuità didattica».
Per avere qualche punto in più, per salire in graduatoria, Fernanda parla di corsi a pagamento: «Costano 650€, valgono tre punti, e ti danno la possibilità di avere le risposte corrette prima ancora che tu sappia le domande. È un furto legalizzato, cui siamo costretti a piegarci per non rimanere indietro in quella graduatoria.» Graduatoria che non ha lasciato fuori proprio tutti, però. Qualcuno che ha firmato il contratto c’è stato, ma difficilmente è sceso in piazza, probabilmente convinto che il problema fosse altrui e non lo riguardasse.
Niente di più sbagliato, secondo Claudia Urzì, portavoce dei precari. Era professoressa di educazione fisica alle medie, adesso fa l’insegnante di sostegno. Ha avuto un posto ed è prossima all’immissione in ruolo. Quando le chiediamo se intendono bloccare l’inizio dell’anno scolastico, non esita: «Intendiamo porre l’attenzione sul fatto che se si comincia a queste condizioni sarà un avvio disastroso: è precario gran parte del personale che lavora nella scuola in questo paese, quindi senza di noi non si può andare avanti».
I contratti di “disponibilità” di cui il ministro Gelmini ha parlato giorni fa per placare le polemiche paiono un contentino. Si tratterebbe di privilegiare nelle convocazioni per le supplenze brevi quei lavoratori che, nell’anno scolastico 2008/2009, sono stati in servizio fino al 30 giugno. Una presa in giro evidente, in base a quanto sostiene Luigi De Carlo, trentasei anni, precario da sette, insegnante di italiano e storia alle superiori, con un mutuo da pagare, una moglie precaria anche lei e un figlio in arrivo.
La professoressa Chiaia, invece, insegna tecnologia alle scuole medie. Con un marito e due figli a casa, dall’inizio dell’occupazione non ha lasciato l’Ufficio Scolastico Provinciale. E non intende farlo. Come lei, i suoi colleghi. Andranno avanti ad oltranza, in quest’inizio d’autunno che si preannuncia caldissimo.