Ponte sullo Stretto, i fondi ci sono o no? Storia di una domanda da quasi 15 miliardi di euro

Quattordici miliardi e seicentomila euro. Di base. Tanto serve per costruire il ponte sullo Stretto. Una cifra ben lontana dai sette miliardi e spicci che aveva in mente Matteo Salvini durante le interviste di qualche mese fa. Una cifra a cui vanno aggiunti un altro miliardo e poco più per la rete ferroviaria e qualche soldino in meno per l’adeguamento della viabilità stradale tanto in Sicilia quanto in Calabria (anche se, in questo caso, parte della copertura dovrebbe essere garantita da Rfi e Anas). L’ultima in ordine di tempo a tirare fuori l’argomento è Barbara Floridia, ex sottosegretaria del Movimento 5 stelle che, nuovo Documento di Economia e Finanza alla mano, tuona: «Gli unici soldi che si sono trovati e sono stati stanziati sono altri 320 milioni (e siamo a 620) per l’ennesima messa in moto della macchina, poi si vedrà».

E in effetti il Def varato dal governo Meloni pochi giorni fa parla piuttosto chiaro: per il ponte servono tanti soldi, che verranno stanziati nella prossima Finanziaria. Poche parole, quelle appena sintetizzate, che suonano come una sfida per Matteo Salvini, che avrà dunque sette o forse otto mesi di tempo per trovare quanto necessario. Si vociferava che questi fondi potessero arrivare dalla tumulazione del Reddito di cittadinanza. La misura grillina per antonomasia costa allo Stato circa otto miliardi all’anno e su un’ottica di risparmio certamente pluriennale la cosa sarebbe più che fattibile. Ma il governo a trazione destrorsa non ha intenzione di abolire del tutto il sussidio, gli sarà piuttosto cambiato nome e sarà ristretta la cerchia degli aventi diritto, con un risparmio insufficiente a coprire l’opera.

Altra ipotesi accreditata – soprattutto dalle opposizioni – è quella dei tagli orizzontali. Nel mirino finirebbero come sempre scuola, sanità e tutti gli altri settori a scalare. Anche in questo caso, però, i tagli dovrebbero essere più che drastici ed esporrebbero un governo a trazione dichiaratamente populista a una bufera delle critiche difficile da gestire. Una bella grana per Salvini, insomma, con le parole di Renato Schifani alla convention di Forza Italia: «Matteo Salvini è il miglior ministro dei Trasporti che la Sicilia possa avere», che suonano come un accorato incoraggiamento. E a proposito di Schifani, c’è appunto il capitolo regioni. «La Sicilia farà la sua parte – dice il governatore isolano sempre dal pulpito forzista del teatro Politeama – E contribuirà per quanto possibile». Dello stesso identico avviso il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, che qualche giorno fa dichiarava: «La Calabria e soprattutto la Sicilia contribuiranno alla realizzazione». Con quel «soprattutto» a lasciare intendere molte cose, visto pure che la Sicilia, benedetto quanto si vuole il Pnrr – inutilizzabile causa tempi stretti per la spesa -, non ha così tanti fondi.

«L’Europa è disposta a finanziare il ponte», dicono da Bruxelles, ma anche in quel caso non è specificato come. E quanto. «Il Ministro Salvini vorrebbe far intendere che la maggior parte delle risorse le metterebbe proprio l’Europa ma non è così – continua Floridia – Perché la misura cui fa riferimento (il Connecting Europe Facility- CEF) presenta paletti quasi insormontabili, visto che in totale dispone di 25,8 miliardi per tutte le opere europee legate ai nove corridoi Ten-T e quindi all’Italia non potrebbe che spettare una cifra di pochi miliardi». Che potrebbero però bastare, perché il nodo, in fin dei conti, è sempre lo stesso di quando si presentano opere pubbliche faraoniche: il rapporto tra pubblico e privato. Con aziende più e meno private – Rfi e Anas su tutte hanno già dimostrato di volerci mettere del loro – che potrebbero contribuire in cambio di royalties da acquisire nei modi più svariati: da una maggiore facilità nell’import-export con la Sicilia a una quota sui pedaggi, che verosimilmente potrebbero raggiungere cifre importanti, rendendo di fatto l’attraversamento piuttosto oneroso. Certo, un discorso ancora prematuro, anche se sarebbe surreale, dopo le battaglie sul caro voli, scendere in campo contro il caro ponte. Ma parlarne ora richiederebbe acclarate e non comuni doti di preveggenza.

Preveggenza che servirà anche per capire se e come Salvini riuscirà a racimolare il necessario per un’opera su cui ha deciso di costruire tutta la credibilità del suo mandato e una parte considerevole del futuro elettorale della Lega. Specie dopo avere incassato quasi un miliardo di euro – quelli sì veri e tangibili – che serviranno per rimettere in moto il carrozzone a livello organizzativo e burocratico dopo anni di polvere accumulata nei garage romani: a questo più o meno servirà il decreto Ponte di cui tanto si parla in questi giorni. Insomma la fiducia c’è, la voglia anche. Non rimane che trovare una quindicina di miliardi di euro.


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