Poesia, anima clandestina

«La poesia non è una cosa morta, ma vive una vita clandestina». Questo, in sintesi, il pensiero di Edoardo Sanguineti, poeta ottantenne ospite dell’ultimo incontro della rassegna ‘Il verso presente’. Nonostante l’età, e una lunga degenza dovuta a un infortunio casalingo, il poeta genovese non ha voluto mancare all’appuntamento. Ospite dei microfoni di Radio Zammù ha esposto il suo pensiero. «La poesia è considerata, nel complesso, un’attività marginale. È chiaro che la poesia, tra le forme di comunicazione che caratterizzano questo presente via via sempre più tecnologico, seppur lontana dal morire e dall’estinguersi, si trova in una condizione difficoltosa».

Il ‘Superuomo’ dannunziano ha smesso di esistere e la poesia ha sempre più un ruolo marginale. Nonostante ciò, si continua a scrivere e produrre tanti versi poetici. «C’è una situazione un po’ curiosa. Perché da un lato non si è scritto mai tanto come in questi ultimi decenni, non solo in Italia ma in tutto il mondo, tutto merito dell’alfabetizzazione che ha scatenato l’illusione di una vocazione poetica. Dall’altro lato, la carta stampata scrive poco di poesia, considerandola come un fiore all’occhiello, e il pubblico non acquista volumi di poesia. Quindi si genera uno strano meccanismo, da un lato sovrapproduzione dall’altro una vita più difficoltosa da un punto di vista economico-sociale. C’è però un aspetto di ottimismo, perché non vi sarebbe sovrapproduzione con una totale assenza di interesse. C’è comunque attenzione per la poesia».

Lawrence Ferlinghetti, simbolo della ‘beat generation’, considera la poesia come l’unico mezzo di resistenza contro la tecnocrazia. Tutti gli artisti, anche quelli meno bravi, dovrebbero essere come fratelli. Sanguineti ha un’ opinione differente. «Non sono d’accordo, per due motivi. Innanzitutto, non vedo molto bene una confraternita di poeti, una corporazione poetica. Adesso non è un momento tra i più floridi, la qualità di poeti davvero significativi è molto rara. Solo alcune poetiche del passato, come il Barocco, prima represso poi rivalutato come un momento molto alto, l’Arcadia, il Romanticismo e infine le Avanguardie, hanno creato una poetica comune. Quanto alla tecnologia, la poesia non è un’alternativa ad essa. La comunicazione poetica, sebbene accresca la comunicazione, non è in grado di contrastare il progresso tecnologico».

La scarsa qualità dei poeti moderni avrebbe una causa specifica, ovvero gli studi sempre meno intensivi della scuola italiana. «La poesia – continua Sanguineti – non è molto letta e la scuola non aiuta. Io sottolineo sempre una differenza con i miei tempi, quando chi leggeva veniva biasimato, perché la lettura era considerata una distrazione dallo studio. Oggi, invece, si raccomanda di leggere e non di studiare. Un tempo si traducevano Gucciardini, Leopardi o Machiavelli. Oggi gli studenti non capirebbero questi autori. È molto più facile leggere De André, ormai divenuto un modello di scrittura. Molte sue canzoni sono belle, ma non possono sostituire le letture di importantissimi autori come Tasso, Dante o Boccaccio. Io esorterei a leggere molto, nel senso tradizionale del termini, cioè studiare».

Altro importante ospite della rassegna Franco Loi, poeta milanese che ha costruito la sua poesia sull’utilizzo dei più svariati dialetti italiani. «Io chiamo il mio modo di scrivere semplicemente poesia. Non so se siano componimenti dialettali, anche perché mi dicono che invento la lingua. C’è sicuramente un sottofondo milanese ma per il resto invento. L’esigenza di farlo, nasce da una parte dai suoni e dal ritmo e dall’altra dall’emozione di dire la cosa di cui si vuol parlare. Per esprimere un sentimento non è detto che la parola adatta sia quella regolamentare, cioè legata ad una lingua. In alcuni casi ho usato parole abruzzesi, in altri liguri, a seconda del suono. È un’esigenza costitutiva della poesia».

Se scrivere in dialetto è stata un scelta voluta, perché i versi in italiano erano delle scopiazzature di altri poeti, le parole, i sentimenti, escono direttamente dall’anima. «Ho cominciato a scrivere versi nel 1965. Fin da allora – chiosa Loi – mi lasciavo dire e i versi uscivano al punto tale che ho scritto 119 poesie solo nel mese di settembre. Ho capito che la poesia è il nostro essere intero, anche inconsapevole, che vuole raccontare la propria esperienza, che esce secondo un ritmo e un suono che proviene da dentro. Per questo mi dicono che parlo in endecasillabi. La poesia è un ritmo interiore da cui mi lascio prendere».


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