Il nome di Francesco Salvo non era mai stato affiancato a quello del parente. Il 27 dicembre, però, anche per lui sono scattate le manette. L'accusa è di estorsione aggravata ai danni del titolare di due discoteche di Catania. Le mazzette, fino a prima dell'arresto a gennaio 2017, sarebbero state riscosse dal presunto boss. Guarda foto e video
Pizzo in discoteca, nuovi guai per Massimiliano Salvo In manette anche il fratello, racket per «la protezione»
Di suo fratello, fino a questo momento, non si era mai parlato. È la prima volta che il nome di Francesco Salvo (incensurato, classe 1989) viene affiancato a quello del più noto Massimiliano (classe 1982), detto ‘u carruzzeri, presunto boss del clan Cappello attualmente detenuto al 41 bis. Il 27 dicembre in carcere c’è finito anche il 27enne Ciccio, accusato di estorsione aggravata ai danni del titolare di due discoteche di Catania. Con la stessa accusa, le manette sono scattate anche per Kristian Zappalà (classe 1996), che si sarebbe occupato di riscuotere una mazzetta nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 2017.
Secondo la ricostruzione delle forze dell’ordine, da ottobre 2016 il proprietario di due locali catanesi avrebbe dovuto versare mille euro al mese per la protezione da parte dei presunti esponenti della cosca. Durante una serata danzante avvenuta una settimana prima dell’ultimo Natale, sarebbe stato fissato l’appuntamento tra l’imprenditore e un esattore non meglio precisato. Dalle indagini è emerso che quest’ultima persona si sarebbe presentata per conto di Francesco Salvo, ex addetto alla sicurezza proprio in quei locali.
In base a quanto sostenuto dalla procura, Massimiliano e Francesco avrebbero minacciato il gestore e avrebbero fomentato disordini all’interno delle discoteche, costringendo di fatto l’uomo a pagare per eliminare ogni possibile problema. Per gli inquirenti, in un primo momento sarebbe stato direttamente Massimiliano a riscuotere le somme. Almeno fino a gennaio 2017, quando il blitz Penelope lo ha fatto finire dietro le sbarre. A prendere il suo posto, poi, sarebbe stato il fratello più piccolo.
In base a quanto emerso, la squadra mobile ha cominciato ad appostarsi all’interno dei locali notturni. Così si arriva a quel 16 dicembre: le telecamere immortalano un uomo entrare all’interno dell’ufficio del titolare. I due sono intercettati tramite le cimici nascoste nella stanza. Un breve scambio di battute, il rumore della musica di sottofondo e poi il passaggio di denaro. A quel punto gli agenti intervengono e fermano Kristian Zappalà, che sarebbe stato sul punto di andare via. I poliziotti gli trovano addosso mille euro, in banconote di vario taglio. Scatta l’arresto: l’accusa è estorsione aggravata dal metodo mafioso. La stessa decisa per gli altri due.
Il 4 gennaio, il tribunale del Riesame di Catania ha confermato l’arresto per i due più giovani. Si attende ancora, invece, il pronunciamento su Massimiliano Salvo: l’udienza è fissata per il prossimo 16 gennaio. Quest’ultimo (figlio del capomafia Pippo e fratello, oltre che di Francesco, anche di Giampiero), intanto, è al carcere duro a Novara. Di lui nel capoluogo etneo si è iniziato a parlare nel 2015, per via dell’annacata della candelora degli Ortofrutticoli nei pressi della sua abitazione, durante la festa di Sant’Agata di quell’anno. Da allora, le cronache hanno incontrato il suo nome in diverse circostanze. Prima per il blitz Penelope di gennaio 2017; poi per le intercettazioni con Vincenzo e Giuseppe Guglielmino, entrambi imprenditori nel settore dei rifiuti e ritenuti orbitanti attorno alla cosca; infine per i rapporti – di parentela e non, svelati da MeridioNews – con diverse persone che lavorano per conto del Comune di Catania.