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Il piromane di Gela: un caso di sicurezza urbana e fragilità psichiatrica
Tra la fine del 2024 e i primi mesi del 2025, Gela ha vissuto mesi di tensione crescente. Notte dopo notte, auto andavano a fuoco in diversi quartieri della città. In almeno due casi, le fiamme hanno minacciato abitazioni civili, sfiorando la tragedia. Il 26 dicembre 2024, in via Generale Cascino, un incendio appiccato a cinque vetture lambì un palazzo di cinque piani, a pochi metri da un distributore di carburante. A marzo 2025, in un episodio simile, altre quattro auto furono incendiate in zone diverse della città. Gli episodi hanno tutti una matrice comune: si trattava di incendi dolosi, apparentemente scollegati tra loro, ma riconducibili allo stesso autore.
Le indagini, coordinate dalla procura e affidate a un pool congiunto di carabinieri e polizia di Stato, hanno portato all’arresto di Salvatore Gensabella, 38 anni, soggetto già noto per comportamenti simili e con documentate fragilità psichiche. «È una persona che agisce da anni, con lucidità e un modus operandi riconoscibile – ha dichiarato il procuratore capo Salvatore Vella – Servono più strutture capaci di accogliere e monitorare persone con questo tipo di profilo, prima che si trasformino in minacce concrete per la sicurezza pubblica».
Decisivo per l’identificazione del piromane è stato l’utilizzo incrociato dei sistemi di videosorveglianza pubblica e privata. Gli investigatori hanno analizzato centinaia di ore di filmati, ricostruendo con pazienza gli spostamenti del sospettato. È emerso un modus operandi ricorrente: Gensabella usciva nelle ore notturne, si cambiava più volte d’abito per eludere i controlli, e appiccava il fuoco con l’ausilio di liquidi infiammabili. In almeno due occasioni avrebbe anche inviato lettere minatorie alle vittime.
«Una collaborazione esemplare tra i reparti investigativi ha permesso di risalire a Gensabella – ha spiegato il colonnello Marco Montemagno, comandante del reparto territoriale di Gela – Le telecamere, incrociate con i tabulati e i movimenti tracciati, hanno restituito un quadro coerente, confermato da altri elementi tecnici».
«È stato un lavoro tecnico e investigativo molto complesso – aggiunge Emanuele Giunta, primo dirigente del commissariato di polizia di Gela – Le ragioni? Apparentemente futili: uno sguardo interpretato male, un saluto mancato. Scatti d’ira che si trasformavano in fuoco». Il caso ha riaperto il dibattito sull’efficacia del sistema di prevenzione nei confronti di soggetti socialmente pericolosi ma non pienamente imputabili. Gensabella è stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari in una REMS (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), con braccialetto elettronico.
Secondo il procuratore Vella, «la mancanza di strutture intermedie e il ritardo nell’identificazione del profilo di rischio rappresentano ancora oggi un limite serio alla tutela della collettività».
Il nome di Gensabella era emerso anche nel 2022, in un episodio analogo nei pressi della parrocchia di San Domenico Savio, quando vennero bruciate alcune auto e recapitate lettere intimidatorie. Anche quei fatti sono ora sotto esame. Il caso Gensabella non è solo la storia di un piromane. È un dossier complesso che intreccia giustizia penale, disagio psichiatrico e sicurezza urbana. Dimostra quanto sia necessario un approccio integrato tra magistratura, forze dell’ordine e sanità mentale per prevenire escalation pericolose. Gela, oggi, può tirare un sospiro di sollievo. Ma le domande che questo caso solleva restano aperte. E riguardano molte altre città.