Pinuccio, opera teatrale sui carusi delle miniere  L’autore: «Ci sono storie che nessuno conosce»

Caltanissetta, 12 Novembre 1881, miniera di Gessolungo. Ore 6 del mattino. Una fuoriuscita di grisù provoca un’esplosione violenta e travolge in pieno un gruppo di 120 cavatori. Solo 55 di loro si salvano, per i restanti 65 non c’è scampo. Tra le vittime 19 carusi (termine del dialetto siciliano indicante ragazzini, ndr) di età compresa tra gli 8 e 14 anni. A distanza di 135 anni, l’attore e autore nisseno Aldo Rapè in sinergia con il cantautore e musicista Sergio Zafarana, debuttano, in anteprima assoluta, con lo spettacolo Pinuccio per «commemorare tutti i minatori siciliani perché ci sono storie che nessuno conosce», spiega Rapè.

Si chiama Pinuccio, dal nome del nonno dell’autore a cui è dedicato lo spettacolo, ed è la storia di uno dei tanti bambini impiegati nelle zolfare siciliane. A soli otto anni, è già un caruso di miniera. Ha smesso di giocare per andare a lavorare nel ventre oscuro della terra. Scendere nel sottosuolo è un’impresa ardua. «Quando cominci a scendere ti viene di chiudere gli occhi, come quando giochi a nascondino – confessa il protagonista sul palcoscenico -. Ma quando giochi poi li riapri e c’è la luce. In miniera no. Li puoi aprire e chiudere mille volte ma c’è sempre più buio».

«Ma come si viveva, realmente, in miniera a quei tempi?». È il quesito da cui parte Rapè per riportare alla luce una realtà poco conosciuta. Nelle sue intenzioni c’è l’intento di fare riscoprire al pubblico il mondo delle miniere. «Un racconto didattico, ricco di immagini e suoni – sottolinea il regista – che svelerà le tecniche di estrazione e trasporto dello zolfo, le condizioni di vita dei minatori, l’impiego dei carusi, ma, anche – continua – la miniera come risorsa economica per molte botteghe e i rari momenti di svago dei lavoratori come le passeggiate in piazza o le bevute in osteria». E così il ragazzino non solo farà i conti con la fatica e lo sfruttamento ma si renderà conto che la zolfara «dà da mangiare a un sacco di persone».

Pinuccio è la storia di una terra, di una città e delle sue cave, dove per generazioni padri, nonni e bisnonni hanno faticato e lavorato. È un viaggio nel tempo che svela le vicende ignote di gran parte dei zolfatai dell’entroterra siciliano. «Puntare i riflettori sulle miniere – ammette Rapè – credo sia un modo per non smettere di ricordare, per sottolineare l’importanza di una nuova risorsa che potrebbe creare sviluppo e attrattive culturali nel territorio dell’entroterra siciliano, un tempo, capitale mondiale dello zolfo». Una rivalorizzazione, in termini di ripresa economica, che già avviene in diverse zone del Trentino e della Sardegna dove, sostiene l’attore, «vengono proposte visite guidate all’interno dei giacimenti minerai e negli ex-villaggi di minatori».

Nell’atto di riportare i fatti della sua vita, Pinuccio evoca un mondo inesplorato e spinge la platea a visitarlo, conoscerlo e a interagire con esso. Il racconto diventa la maniera più semplice per entrare in relazione con l’altro. Sul palco, il narratore-protagonista, seduto su una sedia, dialoga con il pubblico al fine di instaurare un rapporto intimo e privato perché «non siamo più abituati ad ascoltare». La musica, mai di sottofondo, possiede un’autonomia tale che le consente di esprimersi e imporsi sulla scena. «Il musicista – tiene a precisare il regista – ha appositamente creato la partitura in itinere, durante lo svolgimento delle prove. Melodie originali nate dalle sensazioni che la performance gli ha suscitato». Pinuccio andrà in scena stasera alle 21,30 e domani alle 19 al centro culturale Michele Abbate di Caltanissetta.


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