C’è l’assassinio di Filippo Marchì, 50enne ucciso a Barrafranca nel 2017, ma anche il rogo dell’abitazione del suocero del sindaco di Pietraperzia, nelle carte dell’inchiesta della Dda di Caltanissetta che oggi ha portato all’arresto di 21 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, rapina, furto, reati in materia di armi, ricettazione e turbativa d’asta.
L’indagine riguarda la famiglia mafiosa di Pietraperzia, in provincia di Enna, guidata storicamente dai fratelli Giovanni e Vincenzo Monachino. Il primo risulta avere avuto un ruolo anche nelle fasi organizzative delle stragi di inizio anni Novanta: proprio in provincia di Enna, infatti, si sarebbero tenute riunioni preparatorie. Giovanni Monachino sarebbe stato peraltro incaricato di assicurare la sicurezza dei partecipanti, installando antenne che potessero intercettare le conversazioni delle forze dell’ordine. A fare il suo nome, che compare anche negli atti dell’inchiesta del 2017 che ha portato alla luce i rapporti tra la ‘ndrina Piromalli e il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, sono numerosi collaboratori di giustizia.
Il peso dei fratelli Monachino sarebbe emerso anche più di recente. Nel 2016 a Catania si è svolta una riunione tra i referenti locali di Cosa nostra, nello specifico la famiglia Santapaola, e i referenti dei Monachino, Giuseppe Marotta e Gaetano Curatolo. L’incontro sarebbe stato necessario anche per discutere della messa a posto che un imprenditore ennese che si era aggiudicato il posizionamento dei cavi in fibra ottica e avrebbe dovuto corrispondere ai clan etnei per lavorare in tranquillità in città. Gli incontri tra le due parti si sarebbero tenuti anche a Pietraperzia, gli inquirenti hanno infatti monitorato anche una trasferta nel centro ennese di figure di vertice dei Santapaola per incontrare proprio i fratelli Monachino.
Questi ultimi nel corso degli anni non hanno esitato a ricorrere alle armi per affermare la propria supremazia sul territorio di competenza. A partire dagli scontri con il gruppo di Giuseppe Saitta, figlio di Salvatore, uomo d’onore di Barrafranca ucciso negli anni Novanta. La faida nel 2017 si sarebbe riaccesa con l’omicidio di Marchì, l’uomo era stato autista di Salvatore Saitta. Ad avere un ruolo nella pianificazione dell’omicidio, voluto dai Monachino, sarebbero stati Gaetano Curatolo, Angelo Di Dio e Calogero Bonfirraro. Il delitto sarebbe stato organizzato nell’ovile di Vincenzo Di Calogero.
La violenza del clan si sarebbe manifestata anche in fatti più piccoli. A partire dalle rapine necessarie a finanziarie le attività criminali della famiglia mafiosa. In un caso due anziani sono stati pestati a colpi di bastone per rubare loro poche centinaia di euro. Autori dell’aggressione sarebbero stati Filippo Di Calogero, Gianfilippo Di Natale e Simone Russo. A dare fuoco alla casa del suocero del primo cittadino di Pietraperzia sarebbe stato Salvatore Di Calogero; il gesto al momento non è stato ricondotto a un movente preciso.
L’indagine si è occupata anche di un tentativo di estorsione alla ditta che stava lavorando alla ristrutturazione della chiesa di San Benedetto a Barrafranca. A occuparsi dell’intimidazione sarebbero stati due uomini del posto, legati comunque ai Monachino: Giuseppe Trubia e Mirko Filippo Tomasello avrebbero prima fatto trovare una bottiglia di benzina vicino al cantiere e poi due cartucce legate a un lumino per i defunti. Tale azione portò l’imprenditore ad abbandonare il cantiere.
I Monachino, lo scorso autunno, avrebbero anche ordinato un altro omicidio, poi non commesso per l’intervento delle forze dell’ordine. A chiedere l’intervento dei due fratelli era stato un uomo a loro vicino e che aveva subito un furto. Individuato l’autore e preso atto del suo rifiuto davanti alla richiesta di restituire i gioielli, i Monachino avrebbero deciso di farlo uccidere. Senza riuscirci per l’arresto della designata vittima, nel frattempo coinvolto in reati legati alla droga. Infine, gli inquirenti hanno fatto chiarezza anche sulle dinamiche con cui un presunto associato del gruppo, Felice Cannata, avrebbe recuperato i beni pignorati, tramite un prestanome e la complicità dell’avvocata Lucia Fascetto Sivillo, per la quale è stata disposta la sospensione dalla professione.
I nomi degli arrestati:
In carcere
– Calogero Bonfirraro
– Felice Cannata
– Vincenzo Capizzi
– Gaetano Curatolo
– Filippo Giuseppe Di Calogero
– Salvatore Giuseppe Di Calogero
– Vincenzo Di Calogero
– Giuseppe Di Marca
– Gianfilippo Di Natale
– Angelo Di Dio
– Antonino Di Dio
– Luca Marino
– Giuseppe Marotta
– Giovanni Monachino
– Vincenzo Monachino
– Simone Russo
– Antonio Tomasello
– Mirko Filippo Tomasello
– Giuseppe Trubia
Ai domiciliari
– Mario Tirrito
Sospensione dell’esercizio della professione forense
– Lucia Fascetto Sivillo
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