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Incendi, quanto (poco) conoscono il piano di prevenzione Schifani e la sua maggioranza

Durante l’audizione all’Assemblea regionale, il presidente Renato Schifani, chiamato a rispondere sugli incendi che hanno martoriato la Sicilia durante tutta l’estate, raggiungendo percentuali di territorio distrutte da record rispetto agli anni passati, oltre che alle vittime, mai tante quanto in questo 2023, è stato protagonista di un curioso botta e risposta con Ismaele La Vardera, deputato di Sud chiama Nord. La Vardera nel corso del suo intervento ha prima sostenuto di avere una «super fonte» che gli avrebbe confidato orari e zone in cui i piromani agiscono, salvo poi rivelare che la sua fonte segretissima era il sito della Regione siciliana e più nello specifico il piano antincendio redatto dagli uffici della stessa Regione e operativo dallo scorso giugno. Una provocazione non colta dal presidente Schifani, che prima se l’è presa con la fantomatica fonte citata, e poi si è chiesto a quale piano facesse riferimento il deputato deluchiano, parlando della non esistenza di piani antincendio redatti a maggio – cosa vera, ma non menzionata da La Vardera – che ha parlato invece del piano ufficiale, entrato in vigore a giugno.

Ma il piano della Regione per fronteggiare gli incendi era davvero così dettagliato da suggerire luoghi e persino ore in cui mantenere alta l’allerta per cercare di prevenire gli incendi? Carte alla mano, la risposta non solo è , ma sono diversi i punti del documento che lasciano pensare che la maggioranza che lo ha condiviso, in realtà, ben poco lo conoscesse. Anzitutto la parte sul clima. Schifani in Aula ha più volte indicato nel cambiamento climatico uno dei maggiori fattori causa dei tanti incendi del 2023. Un fattore «imprevedibile, con cui dobbiamo imparare a fare i conti».

Vero, ma forse non così imprevedibile, considerato che il report presente nel piano antincendio dedica ampio spazio proprio alla questione del clima in Sicilia, con tanto di grafici e studi scientifici basati sui dati raccolti negli anni. «Le climatologie della Sicilia elaborate in passato non risultano stravolte rispetto a quanto è possibile elaborare sulla base dei dati degli ultimi decenni – si legge nel documento – anche se le osservazioni recenti permettono di individuare fenomeni di grande rilevanza che stanno modificando il campo di variabilità di alcuni indici climatici e che in alcuni casi permettono di individuare anche tendenze piuttosto marcate sulle modificazioni del clima in atto. Risulta quindi estremamente utile descrivere il clima della Sicilia sulla base di dati molto recenti, che consentono di mettere in evidenza gli aspetti che sono in questo momento sotto osservazione per ciò che riguarda il rischio climatico».

Schifani ha inoltre parlato di una «criminalità incendiaria» che starebbe dietro a buona parte dei roghi. Vero anche questo. Sempre dai dati raccolti dagli uffici regionali, il 95 per cento degli incendi risulterebbe di mano dolosa. In questo caso, tuttavia, a non conoscere bene il contenuto del piano è Giusi Savarino, deputata di Fratelli d’Italia, che intervenuta in Aula ha difeso l’operato del governo e contestualmente chiesto di riconsiderare la misura che impedisce per 15 anni il cambio di destinazione d’uso dei terreni coinvolti da incendi. Misura introdotta proprio per evitare l’azione dolosa al fine di ottenere nuovi terreni edificabili e nuovi pascoli. Misura che da sola basta a giustificare la pressione fatta dallo stesso Schifani sui Comuni perché redigano in tempo il catasto delle aree andate a fuoco. Secondo Savarino, però, così facendo si dà campo libero a una certa «mafia dei pascoli», accusata di «bruciare i terreni adibiti a pascolo perché rimangano tali per i prossimi 15 anni».

Tutto il contrario di quanto segnalato nel piano regionale, che indica tra le cause dolose concepite e determinate dalla volontà di uomini: «distruzione di massa forestale per la creazione di terreni coltivabili e di pascolo a spese del bosco – primo punto fra tutti ndr – bruciatura di residui agricoli, quali stoppie e cespugli, per la pulizia del terreno in vista della semina; incendio del bosco per trasformare il terreno rurale in edificatorio; incendio del bosco per determinare, nelle intenzioni dei piromani, profitti in relazione alle attività di ricostituzione e di spegnimento; impiego del fuoco per operazioni colturali nel bosco, per risparmiare mano d’opera – e infine – incendi da cui gli autori non sperano di trarre un profitto concreto ma per azioni quali risentimento contro espropri o altre iniziative dei pubblici poteri, rancori tra privati, proteste contro restrizioni all’attività venatoria, proteste contro la creazione di aree protette e l’imposizione dei vincoli ambientali, atti vandalici, motivazioni di ordine patologico o psicologico».

E poi c’è la questione dell’orario. Davvero è stato individuato l’orario in cui i piromani entrano in azione? E in che modo? Anche in questo caso la risposta è affermativa e arriva grazie all’aiuto della statistica, che stabilisce nella fascia che va dalle 12 alle 14 il momento in cui gli incendi vengono appiccati. Anche perché, sempre gli studi compiuti dagli esperti assoldati dalla Regione, confermano che «la frequenza degli incendi, sia durante l’anno che nel corso delle singole giornate, ha un andamento sovrapponibile a quello delle temperature», tanto da sconsigliare un dispiego eccessivo di forze nelle ore notturne, per poterle meglio concentrare nelle fasce diurne di interesse, visto che, come ricorda ancora il piano: «il fuoco viene appiccato, colposamente o dolosamente, privilegiando le ore più calde per favorirne l’avvio e il rapido sviluppo; gli incendi innescati nelle altre ore della giornata, sicuramente più fresche, meno ventose e con tassi di umidità più alti, hanno minori probabilità di avviarsi e svilupparsi, riuscendo in taluni casi anche ad autoestinguersi e il fattore climatico, in definitiva, ha sugli incendi una influenza nettamente preponderante rispetto a quello umano». «Il nuovo piano antincendio si può dire che è già partito» dice in ultima istanza Renato Schifani. Si spera che stavolta abbiano almeno letto quello vecchio.


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