Perché si uccide Babbo Natale?

Qualche giorno fa, a Rio de Janeiro, i narcos hanno aperto il fuoco per errore contro un elicottero a bordo del quale c’era un Babbo Natale carico di doni, destinati ai bambini di una favela.

Stavolta il vegliardo l’ha scampata bella ed è rimasto illeso, ma non sempre le cose gli sono andate così bene. Il 24 dicembre del 1951 il quotidiano “France-Soir” dava notizia dell’uccisione di Babbo Natale: impiccato alla cancellata della cattedrale di Digione, era stato quindi arso in rogo sul sagrato sotto gli occhi di centinaia di bambini, convocati per l’occasione dal clero locale. 

In coda alla cerimonia fu diramato un comunicato dove si precisava che Babbo Natale era stato sacrificato in olocausto per stornare l’influenza maligna che esercitava sui costumi del popolo cristiano: come un cuculo usurpatore, si era appollaiato sul nido del Natale volgendo la festa del Redentore in una celebrazione pagana dell’opulenza.

“France-Soir” si limitò a registrare l’avvenuta uccisione in tono compìto, senza inutili strepiti e piazzate melodrammatiche come quella dell’“uomo folle” della Gaia Scienza che irrompe sulla piazza del mercato per proclamare la morte di Dio. Un aplomb giustificato, perché a conti fatti la notizia era tale solo per metà: proprio come il Dio biblico era morto decine di volte nelle pagine dei mistici e dei letterati prima che Nietzsche si appropriasse dello scoop, così l’uccisione di Babbo Natale ha attraversato, come una corrente carsica, la cultura popolare del secolo scorso.

Ben prima del rogo del fantoccio di Digione, il canuto benefattore era stato assassinato nel radiodramma The Man Who Murdered Santa Claus, che aveva per protagonista Charlie Chan, il detective confuciano di Earl Derr Biggers, così come in L’Assassinat du Père Noël di Christian-Jaque, uno dei primi film girati nella Francia occupata. Lo ritroveremo poi strangolato nella commedia di Terence Feely Who Killed Santa Claus? e nel racconto The Girl Who Killed Santa Claus di Val McDermid, apparso qualche anno fa sullo “Ellery Queen’s Mystery Magazine”, mentre in un fumetto della DC Comics del Natale del 1973 i supereroi riuniti della “Justice League of America” lo scovano riverso faccia a terra nella neve.

C’è poi un albo di Dylan Dog, “Chi ha ucciso Babbo Natale?”, dove un berserker, feroce guerriero della mitologia nordica, uccide il Babbo Natale del paesino di Snowmouth e si appropria del suo costume per compiere oscure vendette. E una legione di Santa Claus assassinati o assassini popola il cinema dell’orrore, da Don’t Open ’til Christmas di Edmund Purdom a 3615 Code Père Noël di René Manzor, da Santa Claws di John A. Russo a To All a Good Night di David Hess.

Arso in effigie dai cristiani, Babbo Natale non se l’è cavata meglio con i marxisti (malgrado la somiglianza con il fondatore del materialismo dialettico), i quali non perdonano all’idolo bianco e vermiglio il legame con le strategie di marketing della Coca-Cola e, per estensione, con lo spirito del capitalismo. In una canzone di trent’anni fa, L’uccisione di Babbo Natale, Francesco De Gregori lo fece giustiziare dal “figlio del figlio dei fiori” in combutta con la “figlia dei minatori”, come a dire da un’alleanza tra la sinistra dei bourgeois-bohémiens e quella della tradizione operaia.

Come mai la figura di Babbo Natale è circondata da questo sinistro alone di sangue? Claude Lévi-Strauss non aveva dubbi: come il re dei Saturnali o i tanti dèi arcaici della vegetazione e del rinnovamento stagionale che sono i suoi predecessori, Santa Claus deve essere ucciso, l’immolazione è parte del suo ciclo rituale di morte e rinascita.

Nell’articolo del 1952 Le Père Noël supplicié, commentando il rogo di Digione, Lévi-Strauss coglieva l’ironia involontaria dello stralunato cerimoniale: bruciando l’idolo pagano, il clero digionese non faceva che inscenare, come in una sacra rappresentazione, il momento centrale del mito di Babbo Natale – la passione – di fatto preparandone la resurrezione. Aggiungeva poi che Babbo Natale è un essere divino che mette in comunicazione adulti e bambini, incarnando “una transazione molto gravosa tra le due generazioni”, quella tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, come nelle tante feste popolari dove i bambini impersonano le anime dei trapassati che occorre placare per mezzo di doni.

Tutto questo spiega molto bene le uccisioni rituali di Babbo Natale. Ma che dire dei selvaggi spargimenti di sangue che popolano la fiction, del Babbo Natale brutalizzato o incattivito degli horror per adolescenti? In questo caso, forse, è in gioco un’altra “transazione gravosa” tra adulti e bambini cui Babbo Natale sovrintende, tutta compresa nella cittadella dei viventi: quella del dono, del fare e ricevere regali.

Tutte le società sanno che il dono è una potenza terribile e pericolosa perché instaura un debito, un’obbligazione a rendere, un vincolo di reciprocità. Davanti ai pericoli annidati nello scambio di regali il bambino è disarmato e impotente, è un gioco al quale non può prender parte. Ebbene, Babbo Natale è il mediatore benevolo che assume su di sé l’angoscia introdotta dal dono – il sentimento quasi ricattatorio della dipendenza, della manchevolezza – e si fa garante del debito che esso accende. Sottrae il bambino al vincolo oneroso della reciprocità, consentendogli di ricevere regali a cui non è in grado di ricambiare: i balocchi ammucchiati sotto l’albero sono pura gratuità che proviene da un altro mondo, e che nulla vuole in cambio.

Quando al termine dell’infanzia la finzione di Babbo Natale è alfine smascherata, ecco che il meraviglioso e fragile equilibrio della generosità senza contropartita si spezza per sempre: dalla Grazia piombiamo sotto l’imperio della Legge. Liberato dal suo compito di mediatore divino, Babbo Natale si aggira allora, ramingo ed impuro, in qualche landa del nostro immaginario di bambini sfioriti, sfigurato da tutte le angosce di cui ci aveva dispensato, preda dei nostri segreti rancori, idolo da uccidere perché non ci divori.

[N.B. Questo articolo è uscito su il Riformista sabato 22 dicembre con il titolo “Uccidiamo il chiaro di luna, anzi Babbo Natale”]


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