Il Gruppo azione risveglio ha organizzato un dibattito per discutere sulle ragioni che si nascondono dietro ai maltrattamenti sulle donne. Con l'aiuto di un team di avvocati e professionisti del settore e con un libro, scritto dalla psicoterapeuta Rose Marie Galante, che racconta - grazie a testimonianze e casi clinici - il perché di abusi e uomini violenti. Per indagare sulle motivazioni e sensibilizzare sul tema. Andando oltre agli stereotipi
Perché non lo lascio? Storie di violenze Femminicidio, al Gar un incontro sulle cause
Maltrattamenti, abusi, violenze. Quasi una donna ogni due giorni è vittima di femminicidio. Uccise da un compagno, marito, fidanzato che si trasforma in un mostro e che non riescono a lasciare. Storie di amori malati che riempiono le pagine di cronaca nera, ma su cui, spesso, non ci si chiede perché. Se n’è discusso ieri pomeriggio in un incontro-dibattito organizzato dal Gar (Gruppo azione risveglio) nella chiesetta di via Verri, a Catania, con un team di avvocati e professionisti del settore impegnati sul tema del diritto relazionale, della famiglia e dei minori. E con Rose Marie Galante, psicoterapeuta e autrice del libro Perché non lo lascio? Storie e psicoterapie di donne legate a uomini maltrattanti. Per indagare, attraverso scambio di esperienze e testimonianze di vicende reali, sulle ragioni di un fenomeno spaventoso, incontrollabile e difficile da sconfiggere.
Un’occasione per confrontarsi e riflettere attorno ad un quesito fondamentale: «Perché non lo lascia?». «E’ la domanda che si pongono tutti quelli che stanno accanto ad una persona maltrattata – esordisce Viola Sorbello, avvocato penalista, esperta in diritto penale della famiglia ed organizzatrice dell’incontro -. Perché alcune donne non lasciano il compagno violento? Perché continuano questi rapporti orribili, fatti di un’escalation di violenza che può portare addirittura alla morte?». A rispondere è l’autrice – direttrice del Centro di terapia relazionale di Catania – che nel suo volume, frutto di quattro anni di lavoro, racconta le storie e i percorsi terapeutici di decine di donne vittime di abusi. Come Angela, protagonista del libro, che grazie all’analisi è riuscita a salvarsi da una relazione malata e costruire per sé una nuova vita. Ma anche di chi, invece, ad uscirne non ce l’ha fatta, cadendo di nuovo nel vortice dei maltrattamenti. Sfatando i luoghi comuni sulle motivazioni. «Spesso si parla di masochismo o piacere perverso. O addirittura ci si appiglia ai figli o ad una posizione sociale da voler mantenere. Ma non sono queste le vere cause», sottolinea Galante.
La vera ragione è insita nel comportamento dell’uomo. «Gli uomini violenti sono ossessionati dalla compagna», spiega l’autrice. «All’inizio della relazione sono amorevoli e la trattano come una regina». Poi, però si innesca il meccanismo dei maltrattamenti, da cui ormai la donna vittima non riesce più ad uscire. «Tra loro – sottolina la psicoterapeuta – si è creato un legame fortissimo, che le porta a pensare di non poter mai più trovare un uomo che le ami così tanto». Nonostante gli abusi, su cui passano sopra. «Le pazienti che arrivano da me – ammette la dottoressa – non lo fanno esplicitamente perché subiscono maltrattamenti, ma perché soffrono di disturbi come ansia, ossessioni, angoscia, panico o tentativo di suicidi». Tutti problemi che derivano da botte o aggressioni verbali, ma che non sono la ragione per cui si decide di cominciare un percorso di terapia.
Donne normali, di tutte le età e classi sociali – «magari forti e autoritarie sul lavoro e nella vita sociale, ma passive e deboli nel rapporto di coppia» – vittime di uomini, nella maggior parte dei casi anche essi normali. «Spesso – afferma Galante – si dice che i soggetti abusanti hanno gravi problemi psichici o provengono da famiglie in cui sono stati abituati alla violenza. Ma non è così. Nel 40 per cento dei casi si tratta solo di profonda insicurezza». Maschi fortemente «insicuri e vigliacchi», che trovano nella violenza verbale, psicologica e fisica sulla compagna – «che si scatena sopratutto per motivi futili e banali» – l’unico modo per sfogare frustrazioni e affermare la loro autorità. «Per l’uomo l’obiettivo dell’abuso non è il sesso, ma un bisogno di dominio assoluto sulla propria donna». Che passa attraverso controllo e isolamento. «L’uomo – spiega la psicoterapeuta – deve essere al centro della loro vita, con lui devono passare tutto il tempo che hanno. Così le costringono piano piano ad allontanarsi dalla famiglia e dagli amici. O addirittura a lasciare il lavoro».
Una situazione da cui è difficilissimo uscire. Anche per chi trova la forza di dire basta e chiedere aiuto. «La donna in cura – spiega l’autrice del libro – sta peggio perché apre gli occhi su quello che ha subito e subisce ancora. E, se si ribella, il compagno abusante diventa ancora più feroce». E’ un percorso lungo e tortuoso, che non segna necessariamente un lieto fine. «Solo il 12 per cento delle coppie riesce a rimanere insieme superando il problema dei maltrattamenti», sottolinea Galante. Come, al contrario, «è molto frequente che le donne abusate tornino dall’uomo maltrattante». Comportamento che famiglia, amici e gli stessi psicoterapeuti «a volte vivono come un tradimento. Così si arrendono e non le vogliono più aiutare», ammette.
Ma le donne maltrattate hanno bisogno di sostegno. Sopratutto dagli uomini che stanno loro vicino. «Volevo ringraziare gli uomini presenti – dice Galante – perché voi siete molto importanti». Spesso, infatti, gli inteventi di padri, fratelli, amici e colleghi sono fondamentali per fermare le violenze. «Chi picchia la propria compagna – sottolinea la dottoressa – si vergogna di quello che fa davanti ad un altro uomo. Intervenendo, voi uomini avete molto potere per fermare l’abuso fisico ed interrompere il ciclo di violenza».
Come fondamentale è la denuncia alle autorità competenti. «Le maltrattate non vogliono mai denunciare il marito o il fidanzato, perché hanno paura», spiega la psicoterapeuta. «Se lo fanno, è solo perché spinte dall’insistenza dalla famiglia e dall’aiuto della terapia. Davanti a rischi come questi, si deve insistere molto, convincere le vittime a raccontare tutto ai parenti e alle forze dell’ordine. E non abbandonarle». Anche attraverso la sensibilizzazione sul tema, e attivando una sistema di protezione e una rete di sostegno – fatta di persone e professionalità – che le aiuti a trovare la forza di ribellarsi. Per far sì che possano salvarsi dalla spirale di violenza.
[Foto: installazione fotografica di Simona Grillo]