Perché è falsa la storia della Biga di Morgantina Parla l’esperta che per prima ha fatto la scoperta

Ci si potrebbe scrivere un saggio: come nascono e sopravvivono le bufale. E tra gli esempi di diffusione di informazioni false, ci potrebbe essere anche questa testata. MeridioNews, però, corregge il tiro: la biga di bronzo rubata al Cimitero di Catania e adesso ritrovata non è del 480 avanti Cristo. Tutt’al più della prima metà del Novecento. Uno svarione di due millenni (e quasi mezzo) in cui sono inciampati i carabinieri etnei nei giorni scorsi: la datazione errata contenuta nel comunicato stampa sul recupero del bene è stata ripresa dalle testate locali e nazionali più importanti. Nel volto di chi ha studiato quella biga bronzea, però, si è dipinto quasi subito un sorriso amaro. 

Che la datazione precristiana sia impossibile si desume da alcuni elementi che non hanno bisogno di una laurea in Archeologia: dei bronzi vecchi 2500 anni non potrebbero mai stare, perfettamente intatti, esposti all’acqua e al vento. Quelli famosi e antichi – loro davvero – «se fossero stati sotto terra per anni avrebbero, adesso, la consistenza del biscotto. La lega metallica si trasforma in minerale, serve accuratezza chirurgica per recuperarli senza danneggiarli». A parlarne con MeridioNews è Antonella Privitera, la 35enne di Mirabella Imbaccari, esperta in Archeologia giudiziaria, che, prima e unica, ha studiato la biga del Cimitero di Catania ed è arrivata alla sua conclusione: è stata prodotta tra il 1870 e i primi decenni del Novecento.

Dottoressa, come nasce la storia della biga di Morgantina?
«Anni fa fui contattata dal dottor Salvatore Cosentino, un giornalista e scrittore di Mirabella Imbaccari come me. Lui sapeva che io, all’epoca, mi occupavo di ricerca con il Cnr e mi raccontò questa storia: cioè che lui aveva parlato con Joseph Caltagirone, appassionato d’archeologia, che aveva saputo dal proprietario di un terreno vicino a quello dove si stavano svolgendo gli scavi di Morgantina, ad Aidone, che durante quella campagna, in un’area attigua a quella del sito, era stata ritrovata questa bellissima biga di bronzo. Poi finita, per matrimonio, nelle mani del mercante d’arte Antonio Capitano, di Catania. Cosentino mi chiese di occuparmene e io, incuriosita, ottenni un permesso dalla mia responsabile e cominciai la ricerca nel 2017. Di lì a poco la biga venne rubata. Però non l’avevo mai vista: quando trovai la prima fotografia capii a colpo d’occhio che non era antica».

Come se n’è accorta?
«Ho capito subito che si trattava della copia della scultura conservata ai Musei Vaticani, nel Palazzo Nuovo. Si trova nella “Sala della biga”, tra l’altro. L’ho riconosciuta. Un’opera di Francesco Franzoni, che unisce parti antiche di epoca romana con parti frutto di una pesante integrazione formale di epoca Settecentesca, gli anni di Franzoni. Di fatti, tutte le parti aggiunte hanno i caratteri distintivi della scultura settecentesca, basta prendere un manuale di Storia dell’arte».

E quindi cosa ha fatto?
«Mi occupo di fare perizie, quindi devo provare ciò che dico. Non avendo a disposizione la statua per fare una diagnostica sui materiali, ho fatto una vera e propria inchiesta archeologica. Tra le mie specializzazioni c’è proprio la produzione dei bronzi, quindi ho cercato tra le fonderie attive ai primi del Novecento. Ho trovato immediatamente una biga gemella acquistata da un magnate americano in Italia nel 1925 e adesso esposta in un museo statunitense. Era stata prodotta dalla fonderia Chiurazzi, fondata a Napoli da Gaetano Chiurazzi nel 1870. Uno dei suoi figli fu soprintendente a Catania ai primi del secolo scorso e la loro presenza professionale in città ha diverse attestazioni».

Suppongo che questo non sia bastato.
«No. Ho cercato un’erede della memoria della fonderia, fallita da diversi decenni, e ho trovato una storica dell’arte esperta dei Chiurazzi. Appena le ho mostrato la fotografia, ha immediatamente riconosciuto un’opera che era nel catalogo dei napoletani, esperti proprio nel replicare in bronzo opere d’arte di altri periodi storici. Ho trovato, inoltre, una relazione tecnica della soprintendenza di Catania risalente agli anni Cinquanta del Novecento, in cui si racconta di quella statua bronzea. Si dice che è una biga romana per stile scultoreo, ma che è un “oggetto di antiquariato coevo alla costruzione della Cappella”, che è del 1910. Fu fatta costruire proprio da quel Capitano citato alla morte della moglie di lui. Solo in epoca successiva venne venduta alla famiglia Sollima, a cui tutt’ora è intitolata».

Perché la soprintendenza di Catania non ha mai smentito la datazione del 480 avanti Cristo? Basta cercare online per trovare parecchie interviste del dottor Cosentino. Una delle più famose è stata rilasciata alla trasmissione Chi l’ha visto? e parlava anche della presenza dell’auriga.
«Perché dei professionisti dovrebbero esprimersi a proposito di notizie diffuse da chi non ha competenze specifiche? Il dottore Cosentino è una persona di grande cultura, ma non fa l’archeologo. Certamente ha grande passione, ma ciò che dice non ha valenza scientifica. So anche la storia dell’auriga: non c’è nell’originale scultoreo e, nell’unica fotografia che sembra ritrarlo, sembrerebbe più un giovane fantino. Ma lo scatto è talmente vecchio e sgranato che quella figura potrebbe essere anche un inganno prospettico. L’auriga non è mai citato né attestato».

La biga ritrovata dai carabinieri, dunque, non ha alcun valore?
«Questo è falso. Ha il valore che è stato contrattato da chi l’ha rubata. Circa due milioni di euro. Ma se fosse stata originale, fatto praticamente impossibile, avrebbe avuto un valore immensamente superiore».


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