Gli applausi ai tre poliziotti condannati per aver usato violenza su un diciottenne sono da dimenticare
Per il Corpo di Polizia serve una riforma
GLI APPLAUSI AI TRE POLIZIOTTI CONDANNATI PER AVER USATO VIOLENZA SU UN DICIOTTENNE SONO DA DIMENTICARE
L’episodio verificatosi al congresso nazionale del Sindacato autonomo di Polizia merita una riflessione a più ampio raggio perché è l’ennesima circostanza nella quale alcune delle componenti delle forze della Polizia di Stato hanno compiuto atti che in un Paese civile non dovrebbero nemmeno essere ipotizzati. Non è il primo e, purtroppo, temiamo che non sarà l’ultimo, laddove non si provveda immediatamente a rivedere i sistemi di addestramento e di educazione al rispetto dei cittadini, anche se delinquenti.
Le sevizie, i maltrattamenti, le violenze, i voli dalle finestre, gli accanimenti debbono essere tassativamente banditi dall’etica professionale degli agenti e dei loro dirigenti, in divisa ed in abiti borghesi.
L’applauso della platea osannante, in piedi, che ha accolto l’ingresso nella sala del congresso del Sap – il Sindacato autonomo di Polizia – i tre agenti condannati per la morte di un diciottenne a causa delle violenze usate da costoro nei suoi confronti, dimostra che la psicologia di una parte degli agenti di Polizia è priva di senso della responsabilità del loro ruolo di garanti dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, cioè della loro incolumità. Non di tutti, sia chiaro, perché per fortuna altri sindacati di Polizia si sono dissociati.
L’incolumità non può essere sottoposta ad interpretazioni semantiche, ma deve significare che qualora un cittadino, per qualsiasi motivo abbia a che fare con la Polizia, al termine del rapporto intrattenuto deve essere nelle condizioni di salute migliori e sane. Laddove ciò non avvenga le responsabilità dirette ricadono sul personale, operativo e dirigente, della Polizia, senza se e senza ma. Né si può invocare la ‘colposità’ dell’eventuale danneggiamento, per la ragione che il ripetersi in più circostanze di atti di violenza fisica, in danno di chi viene a contatto con gli agenti di Polizia, dimostra che c’è qualcosa non funziona nelle forme di addestramento e nella cultura che informa i comportamenti di alcuni degli appartenenti al Corpo.
Spetta pertanto al ministro degli Interni ed al Capo della Polizia di approfondire le ragioni di queste deviazioni e di provvedere con misure adeguate a correggerle. Sconcerta una coincidenza: al congresso del Sap, in prima fila, erano presenti due esponenti politici di scuola fascista: Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri.
A tale proposito vale la pena di ricordare che, a Genova, durante le tragiche vicende del G8, nella sala operativa delle forze dell’ordine era presente un altro politico, quella volta con i galloni di vice premier, Gianfranco Fini. Anch’egli proveniente dalla medesima scuola politica di La Russa e di Gasparri.
Se a questa coincidenza sommiamo la circostanza che il Testo unico delle norme di pubblica sicurezza sono state emanate con regio decreto n.1846 del, 6 novembre 1926 ed approvate con regio decreto n. 773 del 18 giugno 1931, posiamo facilmente ricavare la matrice culturale e politica della sua concezione. Benché negli anni decorrenti dall’entrata in vigore della Costituzione italiana siano state apportate alcune modifiche, l’impianto culturale (o quasi…) resta sempre lo stesso.
La testimonianza più evidente è la presenza al congresso del Sap dei due parlamentari di formazione fascista. Gli unici in prima fila invitati da quel sindacato. Il che la dice abbastanza lunga sulla cultura politica e sulla interpretazione del ruolo di alcuni settori della Polizia.
Non staremo qui a ricordare i vari casi di violenza praticati dalla Polizia o dalle Questure nei confronti di cittadini fermati, ma è certo che occorre avviare una radicale riforma del testo unico di Pubblica sicurezza in armonia con i precetti costituzionali. Questa sì che è una riforma urgente da fare, ancor prima della riforma della Giustizia e quella del Senato della Repubblica.
In attesa di quella riforma, spetta al Capo della Polizia emanare disposizioni disciplinari e comportamentali che rimuovano in via definitiva la matrice culturale che impregna l’aria che si respira in alcuni settori del corpo di Polizia. Aria pesante che non può più essere tollerata ulteriormente.
Una cosa è certa: la pubblica opinione non è disposta ad accettare il ripetersi di episodi di violenza da parte delle forze di Polizia e, in generale, delle forze dell’Ordine. Specialmente da parte di quelle squadre organizzate che provocano incidenti durante le manifestazioni che disturbano i disegni autoritari dei Governi nazionali, pilotati dalle massonerie più o meno deviate presenti nel nostro Paese.