Yara Nardi ha trascorso 15 giorni con i soccorritori della nave Moas. Documentando i momenti di gioia di chi è stato appena messo in salvo. «Volevo raccontare la speranza. È per questo che abbiamo deciso di chiudere con il battito del bambino nella pancia di una delle tante donne che affrontano incinte il viaggio». Guarda il video
Per due settimane a bordo della nave della Croce Rossa Il video della freelance si trasforma in un inno alla vita
«Noi migranti non siamo piante. Non si può parlare di noi, senza parlare con noi». Parole di un migrante contenute nel libro Malati di confine. Frase da cui Yara Nardi, 31enne freelance romana, si è lasciata interrogare, provando a mettere in pratica l’invito. Così ha passato due settimane a bordo della nave della Croce Rossa e del Moas, assistendo a decine di operazioni di salvataggi nel Canale di Sicilia. In quei giorni ha realizzato un video, pubblicato ieri dai canali ufficiali della Cri. Immagini che rappresentano un inno alla vita.
«Quando tutte le persone vengono salvate – è la descrizione che accompagna il corto – a bordo della nave che le ha soccorse scatta un applauso. C’è chi piange e chi sorride, chi prega e chi canta. È un inno alla vita di chi ce l’ha fatta dopo essere fuggito da violenza e dolore. Ecco perché siamo nel Mar Mediterraneo. Per salvare vite umane e la speranza».
«Ero stata in Iraq da freelance – racconta Yara – ma stavolta ho deciso di andare con Croce Rossa per raccontare la speranza. È per questo che abbiamo deciso di chiudere con il battito del bambino nella pancia di una delle tante donne che affrontano questo viaggio incinte». La 31enne non ha dubbi rispetto al lavoro che svolgono Croce Rossa e le altre ong che hanno deciso di affiancare le istituzioni nel salvataggio di vite in mare. «Meno male che ci sono loro – sottolinea -, meno male che qualcuno si è posto il problema. Altrimenti avremmo molti più morti sulla coscienza».
Trasformare la massa in storie. È questo, secondo l’autrice del video, l’obiettivo dell’informazione che parla di immigrazione. «Selezionare, che non significa censurare – conclude – ma raccontare con un criterio, altrimenti la gente perde di ricettività».