Paternò, uccise le pecore dell’agricoltore bio «Colpito per denunce sullo stato dell’Oasi»

Gliele hanno uccise con un fucile da caccia a piombini. Una gliel’hanno sgozzata, e gli hanno fatto trovare la sua testa davanti la porta di casa. Quattro delle cinque pecore che Emanuele Feltri, trentatreenne di Catania, teneva come animali da compagnia nella sua piccola azienda agricola sono morte così, in quella che sembra «un’intimidazione in piena regola». Le aveva salvate dal macello, «comprate al chilo, come pezzi di carne già lavorata», ed erano alcuni degli animali domestici, tra i quali un asino, che vivevano su quella collina di cinque ettari con vista sull’oasi di Ponte Barca, nella valle del Simeto, a Paternò. «Ieri notte, quando sono tornato a casa, mi hanno fatto una tremenda impressione – racconta Emanuele – Ho dovuto bruciare le carcasse, perché con questo caldo, gli insetti e gli altri animali c’era il rischio di qualche brutta epidemia».

Era tornato a Catania per il fine settimana, a trovare i suoi genitori. Era rimasto solo un paio di giorni lontano dal terreno che ha acquistato due anni fa, coi soldi della vendita del suo appartamento nel capoluogo etneo. L’idea era quella di rimettere a nuovo le cascine di una vecchia azienda abbandonata da 15 anni, «e di creare una rete di piccoli imprenditori agricoli che producono e vendono direttamente prodotti biologici», spiega il giovane. Perito agrario, parecchi lavori alle spalle e un costante impegno politico, anche all’interno del centro popolare occupato Experia, sgomberato dalla sua sede storica in via Plebiscito il 30 ottobre 2009. «Andando a lavorare in campagna, non ho smesso di occuparmi di politica», dichiara.

Le sue denunce sullo stato dell’oasi non si sono fatte attendere: «Nel 2009, la Regione Sicilia ha decretato che questa zona è un’area protetta – afferma – Eppure adesso non è altro che una discarica a cielo aperto di eternit e copertoni». Amianto e pneumatici, materiali che avrebbero bisogno di particolari pratiche di smaltimento e che «vengono gettati in grande quantità nella valle di Ponte Barca». «Sono andato più volte dai carabinieri, purtroppo non è cambiato niente». Ma sono cominciate le intimidazioni: «Le subisco da due anni: otto mesi fa mi hanno distrutto l’impianto di irrigazione, causandomi danni per ottomila euro, mi hanno rubato il carrello della jeep e un’intera produzione di arance, si sono introdotti in casa mia – dice – Non posso allontanarmi neanche due ore per andare in paese (a Paternò, ndr) per andare a fare la spesa senza avere paura di quello che troverò al mio ritorno».

I motivi delle intimidazioni, secondo Emanuele, non sono da ricondurre solo alle denunce, ma anche alla sua «attività sul territorio». «Ho organizzato delle domeniche ecologiche e di bonifica, piccoli corsi di permacultura, occasioni affinché la gente conoscesse e frequentasse una zona abbandonata a se stessa. Evidentemente per qualcuno sarebbe meglio che qui fosse poco frequentato».

Ma i problemi per Emanuele Feltri non si limitano a questo. «Guadagno poco, ho quello che mi basta per vivere, e lo scorso anno la tassa Imu da pagare era di duemila euro, a fronte di strade che non esistono». Perché alla sua cascina, in contrada Sciddicuni, non si arriva con le macchine, il sentiero è impraticabile, «serve almeno un fuoristrada». «Non ho neanche la luce elettrica, eppure ho pagato l’allaccio dell’Enel un anno fa».

«Qui vivo da solo e ho paura, ma voglio continuare a fare quello che faccio – continua – Non sono un supereroe, e non serve esserlo per mandare avanti dei bei progetti: vivere un posto è l’unico modo per preservarlo». Lui non vuole essere una vittima: «Il messaggio che voglio lanciare è del tutto positivo, ci sono altre piccole realtà qui nei dintorni, gestite da ragazzi come me». Tentano di costruire qualcosa, «di lavorare insieme per un’agricoltura diversa». Agli altri, però, non sono state uccise le pecore né è stato distrutto l’impianto di irrigazione: «Solo perché io mi sono esposto di più».

[Foto dal profilo Facebook di Emanuele Feltri]


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