Il futuro dei beni tolti alla mafia passa da Partinico: ai giudici la scelta tra foresta commestibile o parcheggio a pagamento

Antiche essenze arboree e sementi siciliane, ma anche alberi da frutto e orticolture biologiche. A curarli e a raccoglierne i frutti sono cittadini con disabilità, minori migranti non accompagnati o giovani con misure alternative al carcere. È questa, da quasi trent’anni, la nuova vita di un grande appezzamento di terreno a Borgo Parrini, frazione del Comune di Partinico, nel Palermitano: cinque ettari passati dalle mani della mafia a quelle di una cooperativa, attraverso lo Stato. Di soldi ne girano pochi, eppure quel terreno – in una località diventata turistica negli anni – potrebbe fruttare di più: ad esempio, con un ampio parcheggio a pagamento. Come quello proposto dal Comune di Partinico all’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Un’idea finita al centro di un contenzioso legale con la cooperativa Noe – affidataria del bene dal 1998, rinnovata nel 2005 per altri trent’anni – che potrebbe portare i giudici a decidere non solo su particelle catastali e piani regolatori, ma sulla stessa idea di riutilizzo dei beni sottratti alla mafia.

Da terra di mafia a food forest

Insieme al bene, anche la cooperativa Noe si è dovuta reinventare dopo l’assegnazione, dal settore dell’artigianato con soggetti svantaggiati al campo agricolo. Ma per Carla Monteleone, vicepresidente di Noe, strappare la terra alla mafia è sempre stato più di un progetto: un vero fatto di sangue, come quello del suocero, l’avvocato Giuseppe La Franca, ucciso l’anno prima a colpi di pistola per essersi rifiutato di cedere alcuni terreni alla locale famiglia mafiosa Vitale. «Qui, però, ci è toccato innanzitutto combattere con la mancanza d’acqua», spiega. Che ha limitato ma non fermato l’orticoltura biologica e la vendita di prodotti e trasformati, con lavoratori dall’ampio ventaglio di disabilità e disagio sociale. Nel 2021, il progetto entra nella rete di SlowFood e nasce «una food forest di circa un ettaro: una foresta commestibile con l’obiettivo che, negli anni, diventi autonoma nella gestione e manutenzione». Nonostante l’assenza di acqua e, anzi, «proprio per capire quali alberi resistono meglio, oltre che per combattere la desertificazione». Sempre votato allo studio e al recupero della memoria – stavolta di antiche sementi siciliane – c’è poi il progetto con l’università di Londra, per testare le diverse varietà e fornire informazioni utili agli agricoltori siciliani, alle prese con i cambiamenti climatici di questi anni. In campi solcati anche dai giovani visitatori impegnati in percorsi antimafia.

Il rapporto litigarello col Comune

Dopo l’entusiasmo delle prime amministrazioni negli anni ’90, i rapporti coi successori si fanno tiepidi. Ma d’altronde, nel palazzo comunale, i problemi non mancano: culminati nello scioglimento per mafia nel 2020. Borgo Parrini, però, non ne risente e la piccola frazione rurale, con le sue caratteristiche case colorate, diventa anzi una meta turistica sempre più ambita. Il primo vero punto di rottura tra amministrazione e cooperativa arriva a settembre del 2023, quando un controllo durante una festa di autofinanziamento nel bene confiscato fa emergere una irregolarità indiretta: al camion dei panini chiamato per l’occasione manca un documento amministrativo. «C’erano 16 persone in tutto, tra cui noi cinque, non proprio un festone – ricorda Monteleone – E abbiamo subito pagato la multa. Per questo siamo rimasti molto sorpresi quando, una settimana dopo, il Comune ha richiesto la restituzione totale del bene». Una contromisura sul cui equilibrio deciderà, nei prossimi mesi, un giudice. Il lavoro, intanto, prosegue, fino a quando l’amministrazione comunale non si fa viva nuovamente. E stavolta senza chiedere: è novembre 2024, quando il Comune di Partinico emette un’ordinanza di sequestro di un ettaro e mezzo di terreno per realizzare un’area di sosta natalizia a uso del Borgo. Un problema reale da quando, a maggio e dopo anni di attività, l’unico parcheggio (privato) è risultato abusivo e non si sa dove piazzare «nei fine settimana e nelle ore di punta, circa 300-400 autoveicoli e 10-15 pullman», si legge nell’ordinanza, tra le proteste dei residenti.

Il braccio di ferro per il parcheggio

Per risolvere il problema, la sola parte del bene confiscato già destinata a parcheggio nel piano regolatore generale del Comune non basta. Per questo l’amministrazione ammette di voler usare pure quella «destinata per attrezzature di interesse comune e di verde attrezzato». «L’unica pianeggiante, insomma, in cui abbiamo sia alberi che colture sperimentali», spiegano dalla cooperativa. Che si oppone ancora e ottiene dal tribunale la possibilità che il Comune usi solo una piccola parte – 3800 metri quadrati – di quella richiesta. Senza risolvere il problema di nessuno: non quello della cooperativa – che così non può utilizzare un’area con tavoli e panche a uso ricettivo – né del Comune che, non potendo colare cemento né porre del brecciolino, vede il parcheggio occupato solo da chi non teme di restare impantanato. E, soprattutto, non consentendo i piani a lungo termine dell’amministrazione. Che, due settimane dopo aver ordinato il sequestro per «esigenze temporanee», guarda già al futuro. Inoltrando all’Agenzia nazionale dei beni confiscati una richiesta di cambio di destinazione d’uso del bene: «Da unità immobiliare destinata a finalità sociali e di interesse civile a finalità con scopo di lucro». Ossia un «parcheggio pubblico a supporto del Borgo Parrini, anche a mezzo di automatismi con pagamento del ticket di accesso». Una decisione di sostanza, prima ancora che di procedura. Ma anche una decisione spinosa da cui l’ente vigilato dal ministero dell’Interno prova a sfilarsi, ricordando come, «dopo la destinazione, l’Agenzia nazionale svolge solo compiti di monitoraggio». A pensarla diversamente sono però i giudici del Tar, che tengono tutti al tavolo fino alla prossima udienza che deciderà il futuro del bene confiscato.


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