Terza puntata dellinchiesta di Step1 su musica e web. Dopo band e management, questa settimana parliamo con Giovanni Gandolfi di Unhip Records. La crisi discografica? Non basta più il lavoro tradizionale, bisogna seguire un gruppo a 360°
Parola dordine: flessibilità
«Il lato positivo è che il file sharing mette a disposizione una biblioteca mastodontica dove potersi “fare una cultura” di musica. Il fatto che Unhip continui a stampare vinili la dice lunga sull’amarezza che provo quando gli “sbarbi” con l’i-pod, ai banchetti chiedono “che cos’è?” quando vedono un vinile». A parlare è Giovanni Gandolfi, fondatore di Unhip Records, etichetta indipendente di Bologna. Una label giovane, nata nel 2001, ma già “anziana” per i tempi del web. Una realtà, dunque, che ha vissuto e continua a vivere in pieno la trasformazione dello scenario musicale con l’esplosione della rete. Gandolfi ne ha parlato con Step1.
Giovanni, presentaci Unhip Records…
La Unhip Records è nata a Bologna nel 2001 e vanta pubblicazioni – anche in vinile e comunque con grande cura per il packaging, le grafiche e i formati non convenzionali – di artisti stranieri del calibro di Lali Puna, Tarwater, Isan, To Rococo Rot, Pan american, i Fantomas di Mike Patton, Melt-Banana ed altri. Attualmente sono 7 i gruppi che fanno parte del roster attivo dell’etichetta: Disco Drive, Egle Sommacal, Blake/e/e/e, Settlefish, The Zen Circus, The Death Of Anna Karina, Giardini di mirò. L’amore per il vinile si è anche tramutato nella pubblicazione delle versioni LP di dischi degli Afterhours, Offlaga Disco Pax, Le Luci Della Centrale Elettrica e, prossimamente, dei Massimo Volume. Tutto è iniziato come un hobby, poi dal 2005 ho provato a lavorarci a tempo pieno occupandomi però contemporaneamente anche dell’organizzazione di concerti a Bologna con la rassegna itinerante denominata “Murato”. La mia prima esperienza in campo musicale comunque risale al liceo quando ho iniziato a condurre un programma a Radio Città del Capo, cosa che peraltro continuo a fare.
Dunque avete iniziato in un periodo in cui il downloading illegale era già avviato. Non è un rischio creare un’etichetta in queste condizioni di mercato?
All’epoca, nel 2001, la situazione non era ancora così grave, certamente per aprire un’etichetta oggi bisogna avere qualche rotella fuori posto…
Ma qual è la tua considerazione del web? O meglio come sarebbe il lavoro di Unhip senza il web?
Per certi aspetti sarebbe molto più difficile dato che la rete ha significato un abbattimento di costi e una semplificazione e velocizzazione delle comunicazioni davvero notevole, oltre che una innegabile facilità nel gestire i rapporti con l’estero. Per altri aspetti, vedi il download illegale, viene invece da chiedersi se le cose non andrebbero meglio senza il web…
Meglio andrebbero probabilmente le vendite. Cosa invidiate e cosa no di una major? Il file sharing sembra stia colpendo più loro che voi…
Delle major invidio solo la disponibilità economica
Di recente la Touch&go/Quarterstick, storica label indipendente di Chicago, ha deciso di chiudere i battenti a causa della crisi del disco. È una notizia che spaventa label come voi?
E’ stata una notizia ferale, specie considerando la qualità e la levatura dell’etichetta. In realtà, da quello che mi pare di aver capito, l’attuale (e spero non definitiva) cessazione delle pubblicazioni della Touch&Go è stata dovuta al collasso della sua parte non strettamente discografica ma di
quella distributiva. Comunque sì, è un campanello d’allarme di una certa rilevanza che non può lasciare indifferenti.
Ma insomma è giusto che la gente possa consumare musica senza spendere un euro? Quello del download, ormai, pare un “diritto naturale” per tutti quei ragazzi cresciuti con il web. Come se alle generazioni precedenti gli avessero spento bruscamente la televisione…
Giusto non è, ma è un modus operandi ormai talmente radicato che l’unica maniera è quella di guardare avanti e non indietro, cercando il modo in cui questa situazione di fatto possa giovare alle etichette e ai gruppi.
In Francia è stata approvata e poi stoppata una legge che permetteva allo Stato di bloccare la connessione dell’utente pizzicato in downloading illegale. È un modello esportabile?
Penso sia realisticamente irrealizzabile, oltre che un po’ inquietante dato che anche io scarico dalla rete. Poi ovviamente se tutti lo facessero come me con una certa etica, ovvero acquistando ciò che poi all’ascolto piace, la situazione non sarebbe così catastrofica. In fondo anche nei negozi di dischi si può ascoltare il disco prima di acquistarlo, e il web permette di fare questo ascolto con più calma
I negozi di dischi sembrano avere le ore contate. La gente non compra più album, preferisce gli I-pod. E’ il futuro? E come va gestito da parte delle etichette indie questo cambiamento epocale?
I negozi sono logicamente i primi a cadere dato che sono i più vicini all’origine del problema e cioè che la gente non compra più i dischi. Poi vengono i distributori, poi le etichette e poi i gruppi che senza nessuno che investa su di loro non riescono ad emergere. Come va gestito il cambiamento? Magari saperlo. Per ora l’unica cosa per restare a galla è quella di essere molto flessibili e cominciare ad occuparsi anche di tutto ciò che non è strettamente discografico, ovvero booking, management, promozione, sincronizzazioni col cinema insomma occuparsi dei propri gruppi a 360 gradi.