Parla Luca Casarini: “Attenti al Muos e a Sigonella capitale mondiale dei droni”

INTERVISTA AL LEADER STORICO DEI NO GLOBAL CHE OGGI VIVE A PALERMO 

di Francesco Fustaneo

Luca Casarini è stato uno dei portavoce storici del Movimento No Global, esponente del movimento Tute Bianche e dei Disobbedienti. Oggi vive a Palermo. Lo abbiamo incontrato per una chiacchierata a più di 12 anni dal tragico G-8 di Genova. (sotto, foto di Luca Casarini tratta da plus.google.com)

Da allora le criticità del sistema capitalistico e della gestione della finanza internazionale globalizzata che già il movimento No Gobal denunciava non sono tardate a esplodere. Con le conseguenze economiche e sociali che tutti stiamo osservando. Una globalizzazione incontrollata e selvaggia, assente sul piano dei diritti, che oggi impera più che mai: assistiamo a delocalizzazioni che impoveriscono il sistema produttivo italiano, ad una finanza speculativa che logora l’economia reale.

In tutto questo, Casarini, che fine ha fatto quel movimento internazionale di contestazione che era riuscito a portare in piazza milioni di persone in tutto il mondo?

“I movimenti sono come la natura: nascono, crescono e muoiono, spesso si trasformano. Differiscono in questo dalle istituzioni, per loro natura statiche. Il movimento No Global ha corrisposto ad una fase storica ben precisa, sviluppatasi attorno a due, chiamiamole così, ‘faglie’. La prima faglia la individuo nella fine dell’era dei due blocchi contrapposti, quello americano e quello sovietico e dunque con la caduta del Muro di Berlino e con i mutamenti in tema di equilibri politici mondiali che ne sono scaturiti. La seconda grande faglia è stata la dinamica che ha portato ad un sistema in cui si è sviluppato un mercato unico in cui il capitalismo e la finanza ‘globale’ non nascondevano la loro lotta per il governo dell’economia. Questi sono i due grandi momenti che hanno dato l’incipit alla nascita del movimento, all’interno del quale ha poi avuto un ruolo fondamentale lo zapatismo, soprattutto nelle modalità di concepire e portare avanti il conflitto contro il capitalismo. Quel ciclo si è esaurito, o meglio si è trasformato. Quel ‘No Global’ era un movimento globale capace di amalgamare movimenti e gruppi diversi, ma che comunque parlavano linguaggi similari, avevano più di un punto in comune per ciò che riguarda la pratica del conflitto sociale. Il movimento esplose a Seattle nel ’99 ed ha avuto come apice le giornate del G-8 di Genova nel 2011. I vertici organizzati dalle potenze economiche mondiali, così come i temi trattati, allora erano in parte diversi da quelli attuali; in quel periodo c’era un tentativo di consolidare la leadership economica e politica americana che oggi subisce un processo di decrescita contrariamente a quanto accade alla Cina o ad altri Paesi fino a poco tempo fa definiti emergenti. Il mondo è cambiato e a mio modo di vedere anche il movimento si è trasformato: l’ho rivisto scendere in piazza Taksim, in Turchia, a Rio De Janeiro, nelle piazze greche e anche in Italia, sebbene in forme e colori diversi”.

Ma la repressione non ha avuto un ruolo cruciale nella scomparsa o trasformazione, come lei la ha appena definita, del movimento?

“La repressione non è stata mai un’attrice passiva: ha sempre influito nell’ostacolare e tentare di annullare i movimenti: dai Black Panther Party, passando per gli anni ’70 fino ai tempi attuali. A Genova in particolare abbiamo assistito, e lo dice Amnesty International, alla più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dalla fine della II guerra mondiale. Le vicende di quei giorni hanno anche influito soggettivamente dal punto di vista dell’inasprimento repressivo delle leggi nel nostro Paese. Dal 2011 ad oggi si contano più di 15.000 processi contro attivisti, è divenuto più facile criminalizzare movimenti e gruppi di contestazione e finire in carcere per oltraggio o resistenza a pubblico ufficiale”.

Cambiamo argomento: il Muos, opera funzionale agli interessi bellici americani, potenzialmente pericolosa per la salute come denunciano da più parti, costruita col consenso della politica italiana a Niscemi, in Sicilia. Lei ha partecipato alla manifestazione nazionale per dire di no al Muos, tenutasi a Palermo qualche settimana fa. Che opinione si è fatto della vicenda a riguardo?

“Il Muos è una struttura militare globale, serve a condurre operazioni belliche in tutto il mondo. Con la scusa delle antenne radar gli Usa stanno potenziando un sistema militare in cui elementi chiave saranno i droni, ossia aerei senza pilota. L’area dove sorge il Muos, la sughereta di Niscemi, è stata letteralmente rapinata e Sigonella si accinge a diventare la capitale mondiale dei droni. Se ciò non bastasse, penso anche all’aspetto nocivo delle onde radio. In più quella parte di Sicilia rischia di diventare un obiettivo strategico per rappresaglie militari o terroristiche in chiave anti-americana. Fortunatamente esiste un forte nucleo di attivisti che si oppone al Muos e grazie a giornalisti come Antonio Mazzeo molte notizie sono uscite fuori. E’ indispensabile che ci si orienti ad un modo diverso di gestire beni comuni e non mi riferisco solo al Muos: penso anche al Molin di Vicenza o alla Tav in Val di Susa”.

A sinistra non sembra più esserci un soggetto politico in grado di raccogliere con vigore le istanze di protesta che provengono dai conflitti sociali; vede uno spiraglio di luce all’orizzonte?

“Purtroppo non lo vedo, ma sono convinto che un’inversione di rotta sia necessaria. Le sole azioni dei movimenti non bastano. Avendo come rivale la governance capitalistica, un soggetto forte di sinistra è quanto mai auspicabile: un punto di partenza potrebbero essere le proposte che sono emerse nel corso delle manifestazioni a Roma dello scorso 12 e 19 ottobre. In Europa, purtroppo, stiamo invece assistendo ad una forte ascesa delle destre nazionaliste e xenefobe, da Marine Le Pen in Francia ad Alba Dorata in Grecia. Se guardo in Italia anche certe uscite di Grillo mi lasciano perplesso”.

Infine una domanda personale, lei da qualche anno vive a Palermo, si è aperto una partita Iva e si occupa di co-working. Ha definitivamente abbandonato la politica e l’antagonismo sociale?

“No anzi, il co-working è uno spazio dove si discute di economia come di politica e ci si organizza portando avanti progetti ben definiti. L’evoluzione del mercato del lavoro ha trasformato molti ex operai o precari in partite Iva: io come tanti altri semplicemente faccio quel che posso per vivere. Per il resto, a Palermo collaboro con il collettivo del Laboratorio Zeta e comunque sono sempre in contatto e mi tengo aggiornato sulle iniziative dei miei compagni del Nord-Est”.

 


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