Papa Francesco e il riscatto degli ultimi

Qualche riflessione a caldo su colui a cui è stato caricato il grave peso del governo spirituale della Chiesa in un tempo di passaggio epocale. Non voglio soffermarmi sui significati simbolici, sulla simpatia che ha suscitato quest’uomo, imbarazzato, che si é affacciato al balcone della loggia rivolgendo al popolo, al suo popolo, parole estremamente semplici, consuete nella quotidianità delle nostre vite. Non voglio soffermarmi sulla scelta del nome, sappiamo come Francesco evochi in ciascuno di noi, credente o non credente, forti sentimenti di umanità, di sofferenze condivise, di pace.

Voglio, invece, soffermarmi su cose, anche ovvie, che potrebbero fare la differenza. Questo Papa porta l’esperienza della diaspora, di quella gente che fugge o abbandona la propria terra, spinta dalle guerre e dalle ingiustizie o, più semplicemente, dalla fame alla ricerca di un destino migliore. E’ la storia di tanti italiani che, fra la fine dell’Ottocento e il primo del Novecento intrapresero il doloroso percorso verso terre lontane dove speravano di costruire un avvenire dignitoso e più libero dal bisogno. (a sinistra, un’immagine del nuovo Papa Francesco,, foto tratta da videopazzeschi.blogsfere.it)

Ma è la storia di questi nostri tempi, tempi di grandi migrazioni, tempi nei quali drammaticamente ci scontriamo con gli effetti delle ingiustizie che attraversano il mondo. Solo chi porta sulle proprie spalle lo stigma di una simile storia può comprendere queste storie. E proprio parlando di povertà, di mondi che mostrano ancora i segni delle ingiustizie sociali, il fatto che il Papa sia nato in Argentina non è senza significato. Egli infatti ha sperimentato le contraddizioni delle diseguaglianze, l’ansia di riscatto del cosiddetto Terzo mondo.

La sua vicenda personale è stata certamente segnata dalla forte denuncia che ha elevato contro governanti disattenti, quelli della sua terra, quando non, addirittura, volutamente sordi di fronte alle difficoltà materiali dei popoli governati. Non per nulla è anche un gesuita, qualifica non di poco conto, visto che, proprio i gesuiti, in quelle terre, hanno scritto una delle pagine più gloriose della storia della Chiesa, una pagina memorabile a difesa dei disperati della terra.

Ancora questa elezione segna la fine di una Chiesa europacentrica e il deciso avvio verso una Chiesa universale nel segno proprio dell’Evangelo. Questo Papa, inoltre, credo che sia la prima volta nella storia della Chiesa moderna, ha anche una cultura scientifica, ha studiato chimica. Questo fatto non è senza significato dal momento che, ancor oggi, forse per i postumi di un positivismo ideologico, cultura umanistica e cultura scientifica continuano a confrontarsi senza trovare sintesi equilibrate.

Immaginiamoci il rapporto fra scienza e fede che Benedetto XVI, con la profonda sapienza teologico-filosofica che lo contraddistingueva, aveva cercato di proporre in termini nuovi e, certamente, non contrappositivi. Papa Francesco potrebbe portare un contributo ulteriore, e Dio sa quanto ce ne sia bisogno. Si potrebbero ancora aggiungere altri segni o atti, ma credo che questi da soli possono essere materia di abbondante riflessione aggiungendo una coda in collegamento con le dimissioni di Papa Benedetto. Questa elezione, ma è solo una mia illazione, potrebbe darci una chiave di lettura per quell’atto assolutamente inusuale.

Forse Benedetto, nella sua saggezza, ha compreso che la Chiesa, in questo Terzo millennio, deve fare delle scelte importanti e che quelle scelte non potevano caricarsi su un uomo, proprio Papa Ratzinger, che apparteneva ad altra tradizione, quelle scelte dovevano caricarsi necessariamente su un Pontefice che avesse vissuto in prima persona le contraddizioni del mondo.

 

Pasquale Hamel

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