Il gup di Ragusa usa parole pesantissime per spiegare i 30 anni inflitti alla donna. «Ha trasferito nel figlio le frustrazioni e l'odio patito nella sua famiglia d'origine e ha riversato le incomprensioni avute con le proprie inconsistenti figure genitoriali». Definito «falso e inattendibile» il coinvolgimento del suocero
Loris, le motivazioni della condanna di Panarello «Ucciso senza pietà per rifiuto di andare a scuola»
«È stata lei da sola, oltre all’evidenza, ad avere commesso senza pietà e pentimento il più innaturale dei crimini». Sono pesantissime le parole che il Gup di Ragusa, Andrea Reale, scrive nelle motivazioni della condanna a 30 anni di Veronica Panarello, per l’omicidio del figlio Loris, avvenuto a Santa Croce Camerina il 29 novembre del 2014. Secondo il giudice non lo ha fatto con premeditazione, ma per «un dolo d’impeto, nato dal rifiuto del bambino di andare a scuola quella mattina e dal diverbio nato con la madre, il cui contenuto è conosciuto soltanto all’imputata».
False sarebbero anche le dichiarazioni della donna che hanno chiamato in causa il suocero Andrea Stival, accusato di aver partecipato al delitto. «Inattendibile e falsa – scrive il Gup – la chiamata in correità del suocero», tanto da giustificare la «trasmissione degli atti alla Procura per calunnia nei confronti di Andrea Stival». La donna ha «indicato un movente turpe, gravissimo, sconvolgente», nella minaccia del figlio Loris di rivelare al padre la presunta relazione della madre con il suocero, che avrebbe ucciso il nipote per zittirlo. Ma, osserva il giudice, «non è provata la relazione tra i due» che resta «una dichiarazione dell’imputata senza indizi a confronto». Ma non solo: è «inverosimile e smentito dai tempi di percorrenza» il presunto incontro col suocero prima del delitto. Per il giudice, Stival ha «un credibile e forte alibi» confermato da testimoni e dalla localizzazione di un cellulare.
Come si spiega allora l’omicidio? Per provare a dare una spiegazione, il Gup si sofferma sulle perizie psichiatriche effettuate su Panarello, mettendo un punto fermo: «Non presenta disturbi dell’area psicotica, della coscienza o delle percezioni. Piuttosto «tratti disarmonici di personalità e di labilità emotiva». Secondo uno dei periti «il disturbo narcisistico e istrionico» della donna sarebbero correlati a quelli che si attribuiscono a «psicopatici bisognosi di considerazione». Scrive il Gup di Ragusa che la perizia è «un ulteriore indizio a carico dell’imputata, emergendo una personalità in conflitto con sé e con i propri familiari, immatura sotto il profilo genitoriale, menzognera e fortemente istrionica, egocentrica, manipolatrice, desiderosa di catturare le attenzioni di chi gli sta vicino e di porsi al centro di tutto ciò che la circonda, a causa anche delle carenze affettive delle quali aveva sicuramente sofferto da adolescente».
Nelle motivazioni si parla esplicitamente di «sindrome di Medea», di «figlicido per vendetta», ultimamente indicato dagli esperti come «figlicido motivato da rivalsa». Un sentimento che «colpisce il suocero, oltre che il marito e il figlio, in una spirale di cieca distruzione della idea di famiglia e dei valori che essa stessa incarna». Secondo il Gup la donna avrebbe «trasferito nel figlio e nel rapporto con lui le frustrazioni e l’odio patito nella sua famiglia d’origine e ha riversato le incomprensioni avute con le proprie inconsistenti figure genitoriali». Il simbolo della genitorialità e della vita si sarebbe trasformato, scrive il giudice, in «un crescendo di inesorabile forza distruttiva, simbolo di oppressione e di morte, di distruzione di parte di sé, del proprio sangue, e, in conclusione, si se stessa e del suo ruolo di madre e di moglie». Confermata, infine, la dinamica dell’omicidio: Loris sarebbe morto strangolato con delle fascette e la donna avrebbe poi occultato il cadavere nel canalone e nascosto lo zainetto. «La responsabilità dell’imputata», colpevole di «una condotta deplorevole, reiteratamente menzognera, calunniosa e manipolatrice», «è dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio».
L’avvocato di Panarello, Francesco Villardita, annuncia ricorso. «Restiamo fermi nella nostre posizioni: presenteremo impugnazione dopo avere studiato con attenzione le 190 pagine, che a una prima lettura non ci convincono sul piano della crimino-dinamica, dell’assenza di movente e dell’elemento soggettivo». La sede per il secondo grado di giudizio è davanti la Corte d’assise d’appello di Catania.