In vantaggio di due reti in due circostanze diverse, i rosanero non hanno saputo chiudere una gara ampiamente alla portata. 3 reti a 3 il risultato finale a Bergamo, che vale una chiusura d'anno al decimo posto con 22 punti in classifica
Palermo in vena di regali di Natale A Bergamo un pari dal sapore di beffa
Il Palermo si fa contagiare dal clima natalizio e, sotto l’albero, fa un regalo all’Atalanta. Il 3-3 rocambolesco maturato allo stadio Atleti azzurri d’Italia di Bergamo nella sedicesima giornata è frutto di una gentile concessione dei rosanero che, in vantaggio di due reti in due circostanze diverse, non hanno saputo chiudere una gara ampiamente alla portata e praticamente a senso unico nel primo tempo.
Una doppietta di un super Vazquez (da antologia il secondo gol realizzato con un pallonetto dalla distanza) introdotta da un altro acuto di Rigoni, vestito ancora una volta con l’abito del goleador, non bastano al Palermo per chiudere con il botto un 2014 ricco di soddisfazioni e conquistare l’intera posta in palio. Il punto ottenuto a Bergamo consente agli uomini di Iachini di proseguire la serie positiva e centrare il record degli otto risultati utili consecutivi (striscia che non si era mai verificata in serie A nell’era Zamparini), ma sulla soddisfazione alimentata da questo traguardo prevale l’amarezza prodotta dal modo in cui è maturato il risultato finale.
Un verdetto del campo dal sapore di beffa per i rosanero che devono fare il mea culpa avendo in pratica perso due punti dopo avere gettato al vento una vittoria ormai in tasca. Demeriti da dividere, in ogni caso, anche con l’arbitro Orsato che, sul risultato di 2-0 in favore dei rosa nella porzione finale del primo tempo, ha riaperto la gara con una decisione cervellotica assegnando ai padroni di casa un rigore molto generoso (Denis, autore del gol dagli undici metri, accentua la caduta al momento della spinta del connazionale Munoz). In ogni caso è la compagine di Iachini (allontanato dal direttore di gara dopo l’episodio del penalty) a doversi mordere le mani ed assumersi senza alibi le proprie responsabilità.
La splendida squadra ammirata nel primo tempo, nella ripresa è rientrata in campo con le gambe molli e con un atteggiamento sbagliato, tipico di chi inconsciamente ha creduto di avere vinto una volta in vantaggio per 3-1. Un grave errore di valutazione. Piuttosto che mortificare le velleità di rimonta dei nerazzurri (oggi in maglia verde), il Palermo ha riacceso le speranze dei padroni di casa che, comunque, hanno avuto il merito di crederci sino all’ultimo e alla fine sono stati premiati strappando con le unghia e con i denti un pareggio che ha del clamoroso. Clamoroso perché nella prima frazione di gioco c’era stata in campo una sola squadra, un Palermo a tratti devastante trascinato da un ottimo Vazquez – El Mudo si sblocca dopo tre mesi di digiuno – e assolutamente padrone del campo al cospetto di un’Atalanta stordita e in stato confusionale. Le partite, però, durano 90 minuti.
Nella ripresa si è ribaltato il copione dominato dalla reazione di orgoglio di un’Atalanta mai doma, a segno prima con Moralez (tap-in vincente su corta respinta di Sorrentino) e poi con Denis agevolato da una disattenzione di Andelkovic. Decisive anche le mosse di Colantuono che, affidandosi ad uno spregiudicato 4-2-4 in fase offensiva, con gli inserimenti di Bianchi e Gomez ha dato nuova linfa alla squadra creando i presupposti giusti per provare il miracolo. E le strategie del tecnico di Anzio (ex rosanero) hanno avuto effetto.
Al Palermo, che al di là di tutto ha dimostrato di essere in salute, non resta che recriminare sugli errori commessi e sulla mentalità con la quale è scesa in campo nella ripresa. Commettere degli errori è fisiologico ma fa riflettere il gap tra la squadra irresistibile scesa in campo nel primo tempo e l’immagine di quella opaca vista nella seconda frazione di gioco.
Una forbice che, complice un calo fisico, ha tarpato le ali alla squadra. Queste considerazioni amplificano il senso di rammarico e oscurano in parte i grandi meriti di un Palermo che avrebbe i mezzi e le potenzialità per diventare grande ma che, alla luce dei segnali emersi oggi, non ha ancora quella malizia e quel cinismo necessari per leggere con efficacia le situazioni favorevoli e compiere il definitivo salto di qualità.