Palermo, i penalisti dichiarano lo stato di agitazione

La storia l’ha raccontata al nostro giornale l’avvocato penalista, Stefano Giordano. E’ la storia di una perquisizione, avvenuta circa una settimana fa, o giù di lì, nella sede di un avvocato. Una perquisizione che ha suscitato e continua a suscitare aspre polemiche per le modalità con la quale è stata eseguita dagli agenti di Polizia.

Sulla vicenda interviene adesso il Direttivo della Camera Penale “ Girolamo Bellavista” di Palermo, con un documento nel quale si ricostruisce la storia con particolari dei quali noi non eravamo a conoscenza. Riportiamo per intero il documento per tornare ad informare in nostri lettori di una vicenda che sembra tipica di un Paese dove le garanzie poste a tutela dei cittadini non vengono rispettate. Precisando che la camera Penale di palermo ha dichiarato lo stato di agitazione.

“Secondo quanto riportato dalla stampa e da quanto indicato dagli stessi interessati – si legge nel documento – la Camera Penale ha appreso la notizia che sarebbe stata posta in essere una perquisizione, non conforme alle norme giuridiche, presso lo studio legale di un avvocato penalista palermitano, assistito dall’Avvocato Stefano Giordano, senza la presenza del Pubblico ministero e senza che risulti sia stato preventivamente informato il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo”.

“Secondo i due colleghi, la vicenda nasce da una richiesta di consegna al legale delle armi legittimamente da quest’ultimo detenute, quali armi da collezione dello stesso Avvocato. In data 30 maggio 2013, alle ore 12.00 circa, il personale di Polizia contattava lo stesso penalista al fine di ottenere la consegna delle stesse armi da collezione, che alle ore 15.30 venivano consegnate al personale della Polizia presso lo studio del collega”.

“Subito dopo gli agenti portavano via le armi senza però redigere sul posto, secondo il racconto dell’Avv. Stefano Giordano e dal legale da lui assistito, il dovuto verbale di consegna con la disamina specifica delle armi consegnate. Qualche ora dopo, alle 17.30 circa, la Polizia comunicava telefonicamente allo stesso Avvocato che sarebbero tornati una seconda volta presso lo studio legale per effettuare, questa seconda volta, una perquisizione, asserendo che mancasse una delle armi da collezione”.

“Alle ore 19.20 circa dello stesso giorno 30 maggio 2013 si dava inizio alla perquisizione, in presenza della madre dell’Avvocato, sia all’interno dell’abitazione che della stanza adibita a studio legale dove persistevano i fascicoli dei clienti. Gli agenti sarebbero rimasti all’interno dello studio legale dalle ore 19.20 sino alle ore 20.15. Dopo 20 minuti interveniva il legale di fiducia del collega, considerato che il penalista nei cui confronti era stata operata la perquisizione dello studio era stato nell’impossibilità di intervenire immediatamente sul posto”.

La superiore vicenda, se riscontrata, costituisce una palese violazione delle guarentigie inerenti l’esercizio della professione forense, perché si è dato luogo alla perquisizione di uno studio legale senza la presenza del Pubblico ministero e senza la preventiva informativa al Consiglio dell’Ordine, affinché un suo rappresentante potesse prendere parte alle operazioni di perquisizione”.

“L’art. 103 c.p.p. tutela in generale l’inviolabilità del diritto di difesa ed in pratica questo si sostanzia con la tutela della segretezza e della riservatezza dei fascicoli processuali dei singoli clienti depositati e custoditi nello studio legale del penalista sottoposto a perquisizione. Le guarentigie di cui all’art. 103 c.p.p , norma questa intitolata alle ‘garanzie di libertà del difensore’, e cioè la previsione dell’avviso a pena di nullità dell’inizio della perquisizione al Consiglio dell’Ordine Forense del luogo affinché il Presidente o un Consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni e presenza necessaria del Pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, consentono proprio il rispetto della segretezza ed inviolabilità dei fascicoli processuali dei clienti”.

“Ciò significa che, a prescindere di quale sia l’oggetto dell’indagine della perquisizione e chi sia la persona sottoposta ad indagine od a controllo, tuttavia è sempre necessario ed inderogabile il rispetto della procedura dell’art. 103 c.p.p. Con tale norma, in attuazione e specificazione della generica direttiva di cui all’ art.2 n. 4 della legge-delega, si è voluto ‘ampliare la tutela dell’attività defensionale, garantendo al difensore la piena ed esclusiva disponibilità degli strumenti necessari alla sua attività e il monopolio della conoscenza del contenuto degli atti, delle carte, delle conversazioni e delle comunicazioni funzionali all’esercizio della difesa’, nel senso che il legislatore ha in tal modo esteso l’ambito del divieto, ricomprendendovi anche il semplice controllo, ossia la presa di visione del contento della corrispondenza medesima, che è funzionale a ll’espletamento dell’incarico difensivo”.

“Invero, la ratio legis, come si legge nella Relazione ministeriale al Progetto preliminare, è costituita dalla ‘tutela della funzione difensiva’, ed infatti si legge ancora nella citata Relazione, in un processo di parti la funzione difensiva, al pari di quella dell’accusa, deve essere fortemente tutelata e … dunque, era necessario dare contenuti concreti e specifici alla direttiva 4 della legge-delega”.

“In effetti, la ragione di questa norma giuridica è quella di:

1) Assicurare la presenza agli atti “de quibus ” del magistrato che, anche in virtù della sua preparazione tecnica, garantisca il rispetto delle regole poste a tutela della libertà del difensore e sappia quindi individuare con precisione i limiti che l’art. 103 c.p.p. , al primo ed al secondo comma, pone all’attività di ispezione, ricerca ed apprensione non essendo questa attività “delegabile alla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 370 comma 1 c.p.p.

2) Tutelare “le garanzie di libertà del difensore” le

quali sono apprestate a tutela “del libero dispiegamento dell’attività difensiva della difesa, come diritto

fondamentale della persona”.

3) Garantire l’ “inviolabilità della funzione difensiva, come valore assoluto, intesa al perseguimento dei fini istituzionali che le sono propri e non già strumentalizzata per la commissione di reati”.

4) Proteggere la “necessaria riservatezza dell’attività difensiva”.

“Il Direttivo della Camera Penale deve dunque stigmatizzare la perquisizione operata perché è stata posta, secondo quanto indicato dai colleghi interessati, in violazione delle guarentigie previste dall’ art. 103 c.p.p. e dall’art. 24 della Costituzione”.

“Con la perquisizione di cui sopra – conclude la nota della Camera Penale – è stata mortificata l’inviolabilità del diritto di difesa costituzionalmente rilevante ed è stata violata la sacralità della funzione difensiva. Il Direttivo della Camera Penale esprime dunque piena solidarietà al collega il cui studio legale è stato oggetto di perquisizione a dispregio delle violate guarentigie disposte dal codice di rito e manifesta la propria protesta per tale violazione della funzione difensiva, dichiara lo stato di agitazione dei penalisti palermitani, al fine di evitare che analoghi comportamenti possano ripetersi in futuro”.

 


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