Palermo, gli ultimi e le parole di Romeo

“Poco dopo, il bravo venne a riferire che, il giorno avanti, il cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato a ***, e ci starebbe tutto quel giorno; e che la nuova sparsa la sera di quest’arrivo ne’ paesi d’intorno aveva invogliati tutti d’andare a veder quell’uomo; e si scampanava più per allegria, che per avvertir la gente. Il signore, rimasto solo, continuò a guardar nella valle, ancor più pensieroso. “Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! E però ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. Ma nessuno, nessuno n’avrà uno come il mio; nessuno avrà passata una notte come la mia! Cos’ha quell’uomo, per render tanta gente allegra? Qualche soldo che distribuirà così alla ventura… Ma costoro non vanno tutti per l’elemosina. Ebbene, qualche segno nell’aria, qualche parola… Oh se le avesse per me le parole che possono consolare! se…! Perché non vado anch’io? Perché no?… Anderò, anderò; e gli voglio parlare: a quattr’occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò? Ebbene, quello che, quello che… Sentirò cosa sa dir lui, quest’uomo!”
Da I promessi Sposi, di Alessandro Manzoni Capitolo 22.

Ricorderemo nei prossimi giorni l’evento promosso dall’Ufficio Diocesano di Pastorale Sociale e del Lavoro e svoltosi all’Istituto Don Bosco, giovedì scorso.  Chi scrive ha avuto il privilegio di aver conosciuto personalmente ed apprezzato come guida spirituale e brillante saggista Monsignor Arrigo Miglio, durante il suo ministero di Assistente Ecclesiastico Generale dell’AGESCI negli anni ‘80 e ‘90 e non può non manifestare la grande soddisfazione di averlo accolto a Palermo, in occasione dell’incontro plenario con gli amministratori della provincia, fortemente voluto dal Cardinale Arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo.
Un incontro atteso a lungo dai cattolici, e non solo, di Palermo, a motivo della lunga consuetudine di avere avuto per molti anni nel proprio Vescovo un riferimento inequivocabile nella ricerca della giustizia sociale e nella costante evocazione e perseguimento del Bene Comune. E tale attesa sembra ora essere stata soddisfatta dai toni che entrambi i Presuli hanno usato per identificare il ruolo dei cattolici nell’attuale drammatica situazione.
L’affermazione di Monsignor Miglio secondo cui “la crisi ci obbliga a ri-progettare il nostro cammino, ci invita a metterci a pensare, a trovare nuove regole e nuove forme di impegno” deve aver messo in serio subbuglio molti degli amministratori locali che affollavano la sala. Si è trattato di qualcosa di più di un semplice invito, richiedendo piuttosto una piena “conversione” circa comportamenti individuali e collettivi che poco in questi anni hanno lasciato intravedere valori irrinunciabili ed idee forti e coraggiose. Un invito pressante dunque, seguìto al monito lanciato dall’Arcivescovo di Palermo, Romeo, già nei giorni scorsi in occasione dell’intervista concessa al Giornale di Sicilia e in cui l’accusa di immobilismo rivolta al consiglio comunale di Palermo e la conseguente stasi di un’azione amministrativa urgente e non più differibile, sono stati gli elementi di maggiore intensità.

In anni non lontani avremmo assistito, magari nello stesso luogo, ad un incontro tra la Chiesa e il proprio soggetto politico di riferimento, con tutte le ipocrisie (reciproche?) e le doppiezze che ben descrisse Leonardo Sciascia in Todo modo, preconizzando nel 1975 il disfacimento della Democrazia Cristiana. Questa volta, all’invito hanno risposto esponenti delle amministrazioni di culture diverse, tutti però abbastanza desiderosi di accreditarsi presso l’unica Autorità morale che – per quanto molto prudente e per troppi anni in un silenzio che auspichiamo essere stato “operoso” – residua a Palermo.
Ciascuno dei convenuti ha rappresentato, già con la sola propria presenza, il carico di indubbia sofferenza per i gravi problemi delle comunità che amministra, ma c’è da auspicare che abbia portato anche il proprio esame di coscienza in ordine alle tante omissioni di cui, nella stragrande maggioranza dei casi, si è reso, comunque colpevole.
E’ apparsa, infatti, abbastanza scontata, ormai, la lamentela e la rivendicazione presso livelli ‘altri’ della politica, chiamando in causa soggetti istituzionali esterni. Il consueto lacrimevole spettacolo dello “scarica-barile” che dovrebbe disorientare il cittadino e salvaguardare il voto al politico. Ieri era il Governo Centrale, oggi il Commissario dello Stato, domani la Cancelliera Merkel o chissà. Come se molti dei parlamentari siciliani, – regionali, nazionali ed europei – non avessero avuto proprio nelle amministrazioni locali governate dai rispettivi soggetti politici, il principale riferimento elettorale e il più efficace collettore di consenso.
Eppure, è sotto gli occhi di tutti come, da tale punto di vista, la piramide rovesciata che dovrebbe raffigurare la democrazia, ha mantenuto inalterata, trascorso il momento elettorale, la consueta configurazione e, soprattutto, l’immutata dinamica vertice-base (o top down per i più sofisticati), configurando quello scollamento tra Istituzioni e Società, evocato dal sindaco di Termini Imerese, Salvatore Burrafato, comprensibilmente preoccupato per il destino dei propri concittadini. Al suddetto verrebbe però da chiedere in che misura negli anni passati si sia adoperato, quale che fosse il ruolo rivestito, per “immaginare” – in presenza di una “morte” annunciata dell’impianto già dal 2001 – scenari alternativi, come tocca fare alla Politica, piuttosto che alimentare – utilmente – “inutili” speranze..

Dinanzi a tali palesi contraddizioni non si può tacere che la responsabilità principale degli amministratori locali è consistita e consiste nella crescente miopia politica che, proprio perché otticamente tale, ha impedito e impedisce loro di guardare lontano, di progettare il futuro delle proprie comunità piuttosto che cercare di tamponare falle, di provvedere ad invertire la tendenza di un presente senza sviluppo piuttosto che continuare a confidare, non si riesce ancora a capire come, in aiuti dall’esterno e in particolare dallo Stato centrale, o ancora, piuttosto che mettere a frutto la grande risorsa dell’Autonomia Comunale. Mortificata quanto e più di quella regionale, sin dal 1992 (quando con due anni di ritardo la legge nazionale n. 142 del 1990 divenne legge anche in Sicilia), la concezione del Comune inteso come Agente del proprio sviluppo si espresse miseramente, approvando Statuti omologati, privi di ogni identità, riempiendo gli spazi vuoti della bozza fornita dall’ANCI e portati in aula per l’approvazione, come un mero atto dovuto. Una grande occasione perduta per leggere il proprio passato, confrontarlo con le sfide del presente che già allora annunciavano un futuro complesso e inedito cui preparare le proprie comunità, sotto diversi profili (amministrativo, educativo, urbanistico, ambientale, economicamente sostenibile ecc.)
Nella formazione dei cattolici, che ad eccezione di legittime e rispettabili abiure, ne connota la vita pubblica e privata, hanno rilevanza le tre principali dimensioni della fede incarnate in Cristo Sacerdote, Cristo Profeta, Cristo Re. Esse rappresentano, rispettivamente, i tre obiettivi del cammino cristiano: quello di mediatore tra il Padre e gli altri uomini, quello, appunto profetico, dell’annuncio di cieli e di terre nuove, quello del governo della realtà, cioè, la presenza operante nel tempo e nello spazio della Storia e il “governo” della stessa.

Su queste tre dimensioni chi, da credente, oggi riveste incarichi di rilevo nell’amministrazione locale, nella nostra provincia, come in ogni parte del mondo, si interroghi e si verifichi, ponendosi domande del tipo:

– ho gestito onestamente il rapporto tra i valori non negoziabili della mia fede e l ’appartenenza /convenienza politica?

– sono stato annunciatore di mondi possibili, affrontando il rischio della testimonianza (in greco testimone si traduce con martyr) o dell’eventuale irrisione da parte di chi si considera “ con i piedi per terra”?

– ho operato perché le mie azioni politico/amministrative cambiassero radicalmente la realtà nella quale ero richiesto di agire, in forza del consenso ricevuto?

Forse, per coloro che non si riconoscono nella fede cattolica, questo esame di coscienza può apparire catechetico o didascalico. Per chi, viceversa, è arrivato all’impegno nella politica e vieppiù nelle istituzioni, attraverso un percorso vocazionale maturato in una delle tante espressioni ecclesiali, tale pratica diventa condizione essenziale o per proseguire serenamente o per convertirsi al nuovo cammino o per riconoscere la propria inadeguatezza morale o pratica a rivestire, intendendo continuare a proclamarsi cattolico, ruoli di responsabilità in qualsiasi soggetto politico che egli abbia scelto come sintesi della propria visione del mondo.
Per intenderci fuori da ogni ambiguità: l’amministratore pubblico che si rende colpevole di reiterata inadeguatezza al compito non è solo da rimuovere e, se ha commesso illeciti, da perseguire e sanzionare; se è cattolico, egli ha anche peccato, ponendosi, nei casi più gravi, fuori dalla Comunità Ecclesiale, cui, in forza del Battesimo, appartiene prima che a quella anagrafica in cui esercita il proprio mandato.
La fede infatti non è, nonostante ciò che possa pensare qualche cosiddetto laico dei nostri tempi, un fatto privato. Essa è viceversa, soprattutto in chi sceglie il servizio della politica, ispirazione e parte costitutiva del proprio operato pubblico.
Forse questo avremmo voluto sentire con maggior forza e determinazione soprattutto dal nostro Arcivescovo, cui nei confronti dei credenti compete qualcosa in più di una generica moral suasion che, pur apprezzata quando proviene da parte di elevatissimi esponenti istituzionali, resta comunque, rispetto al Magistero Pastorale, tutta un’altra cosa.
Vogliamo augurarci che, nei giorni che ci aspettano, tale intransigenza morale si manifesti, nei modi che la saggezza della Chiesa conosce e pratica da due millenni, in ordine a profili e storie personali, a reali capacità di servizio da mettere a disposizione attraverso la politica, all’esercizio di concreta speranza e di disponibilità al sacrificio di coloro che aspireranno a governare, ai diversi livelli amministrativi, questa Città, proclamandosi cattolici in qualsiasi soggetto politico in cui militino o decidano di candidarsi, consapevoli che ciascuno di tali soggetti non è per essi che un semplice strumento, rispetto al fine escatologico contenuto nella propria personale ed esplicita professione di fede.

 


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“poco dopo, il bravo venne a riferire che, il giorno avanti, il cardinal federigo borromeo, arcivescovo di milano, era arrivato a ***, e ci starebbe tutto quel giorno; e che la nuova sparsa la sera di quest'arrivo ne' paesi d'intorno aveva invogliati tutti d'andare a veder quell'uomo; e si scampanava più per allegria, che per avvertir la gente. Il signore, rimasto solo, continuò a guardar nella valle, ancor più pensieroso. "per un uomo! tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! e però ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. Ma nessuno, nessuno n'avrà uno come il mio; nessuno avrà passata una notte come la mia! cos'ha quell'uomo, per render tanta gente allegra? qualche soldo che distribuirà così alla ventura. . . Ma costoro non vanno tutti per l'elemosina. Ebbene, qualche segno nell'aria, qualche parola. . . Oh se le avesse per me le parole che possono consolare! se. . . ! perché non vado anch'io? perché no?. . . Anderò, anderò; e gli voglio parlare: a quattr'occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò? ebbene, quello che, quello che. . . Sentirò cosa sa dir lui, quest'uomo!"

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