Non una, non due, ma quattro. Tante solo le famiglie iscritte all’elenco comunale dell’emergenza abitativa che hanno provato a insediarsi in via Decollati, a Palermo, all’interno di un appartamento confiscato a Leonardo Algeri, ritenuto dai magistrati inserito nei ranghi della criminalità organizzata. Un immobile che il Comune ha assegnato, come prassi, scorrendo l’elenco dei nuclei […]
Palermo, la storia del bene confiscato che non si riesce ad affidare. «Inquilini minacciati e intimoriti»
Non una, non due, ma quattro. Tante solo le famiglie iscritte all’elenco comunale dell’emergenza abitativa che hanno provato a insediarsi in via Decollati, a Palermo, all’interno di un appartamento confiscato a Leonardo Algeri, ritenuto dai magistrati inserito nei ranghi della criminalità organizzata. Un immobile che il Comune ha assegnato, come prassi, scorrendo l’elenco dei nuclei familiari bisognosi, ma che ha riservato non poche sorprese anche agli stessi funzionari municipali e ha dato vita a una vicenda che sembra ripresa dal copione di un film. «Quando sono arrivato sul posto – dice a MeridioNews Fabrizio Ferrandelli, assessore comunale che si è occupato della vicenda – ho trovato non soltanto la casa piena di mobili, ma abitata e vissuta dalla figlia della persona a cui l’immobile era stato confiscato. Samo stati inflessibili, abbiamo portato avanti le attività di sgombero e queste attività hanno portato danneggiamenti all’immobile, ma non appena l’immobile è risultato libero, insieme alle forze dell’ordine e alla polizia municipale ho provveduto insieme agli uffici dell’Abitare sociale a chiamare man mano le famiglie iscritte alle liste e dell’emergenza».
Quello che Ferrandelli non prevedeva è che non solo la figlia del pregiudicato, che occupava l’appartamento abusivamente, ma anche i parenti della persona in questione, non avrebbero reso per niente vita facile al Comune e che per farlo avrebbero preso di mira le famiglie affidatarie. «La prima famiglia è arrivata – continua l’assessore – ed è stata probabilmente minacciata, perché i familiari del prevenuto abitano tutti nel vicolo alle spalle della casa, così hanno rifiutato terrorizzati. Ho chiesto loro se avessero subito minacce, ma non ho trovato collaborazione. Siamo passati allora al secondo nucleo, che ha accettato l’immobile, si è insediato, soltanto che nella notte sono scappati, probabilmente perché c’erano stati degli atti ritorsivi nei loro riguardi. Hanno rifiutato il bene e addirittura hanno preferito ritornare nelle condizioni di precarietà piuttosto che avere un tetto stabile».
In quel momento il Comune ha avuto la percezione che non si trattava di semplici atti intimidatori, ma che la situazione poteva essere più seria. «Ci siamo impuntati, siamo stati notte e giorno con i soggetti e abbiamo chiamato il terzo nucleo – racconta ancora Ferrandelli – che si è insediato, ma anche loro sono scappati dopo avere preso contezza della situazione. Abbiamo chiamato quindi il quarto nucleo, anche con la mediazione importante di don Ugo Di Marzo, che seguiva il nucleo familiare e che aveva svolto anche un ruolo insieme a noi di cerniera sociale, di ascolto. Il quarto nucleo, una famiglia con quattro minori, si è insediato. Alle 18 la situazione sembrava essere in regola, poi hanno chiamato alle 22 perché qualcosa non andava e siamo tornati lì insieme a don Ugo. Siamo rimasti fino a mezzanotte inoltrata, il clima sembrava essere sereno, siamo andati via, alle quattro del mattino iniziano lanci di materiale infiammabile all’interno dell’appartamento ed è seguita una sassaiola. In seguito, approfittando di una momentanea assenza del nucleo affidatario, i familiari del prevenuto sono entrati dal retro e hanno divelto alcune opere murarie e rotto dei vetri».
Va detto che all’appartamento mancavano anche diversi infissi, portati via dai parenti dell’ex proprietario. «Lì ci siamo veramente stufati, abbiamo alzato il livello, non era più tempo di provare inserimenti di famiglie. Abbiamo coinvolto le autorità preposte, il sindaco ha sentito il prefetto, è stato convocato immediatamente un comitato per la sicurezza per affrontare il problema. Mi sono recato in questura per fare un esposto e poi con le autorità siamo intervenuti sul posto. Quello che questa gente pensa – conclude Ferrandelli – è che intimidendo le famiglie si lasci l’immobile libero. Ma auesta sfida non è alle famiglie, la sfida è stata lanciata allo Stato. Il comune di Palermo ha l’obbligo morale, istituzionale e civile di restituire quell’immobile a chi soffre di più. Già ieri abbiamo messo in sicurezza la parte posteriore dell’appartamento. Stiamo ripristinando gli infissi e l’agibilita per dare l’opportunità al nucleo familiare di tornare in quell’appartamento. È una battaglia di legalità praticata, non solo decantata. Dove ci sono intimidazioni non può che fare aumentare la nostra determinazione».