Palazzo di cemento, cento giorni dopo lo sgombero

Che fine hanno fatto le famiglie sgomberate dal palazzo di cemento di Librino? Tre mesi fa alcune avevano accettato gli alloggi temporanei offerti dal comune di Catania. Altre invece, quelle scese in piazza a protestare, aspettavano di ricevere il buono casa da 250 euro. A più di cento giorni di distanza dallo sgombero, il problema è stato risolto solo in parte.

«Vivo ancora con mia moglie e tre figli nell’alloggio temporaneo, in via Castone. E accanto a me abita anche mio figlio agli arresti domiciliari – spiega Luciano – Qualche giorno fa ho visto una casa, ma era troppo piccola per la mia famiglia. Dove li metto tre bambini in una stanza e mezza? Il proprietario voleva 300 euro. Era meglio vivere al palazzo di cemento, quella sì che era una casa!» Luciano è uno di quelli che tre mesi fa ha scelto l’alloggio temporaneo. E lì e rimasto. Anche se ci tiene a precisare: «Mi hanno detto che a dicembre avrò la casa popolare perché sono ottavo in graduatoria. Quindi perché cercare un’altra sistemazione?».

In realtà quello della casa popolare è un obiettivo difficile da centrare per gli ex occupanti del palazzo di cemento. «Quelli che protestavano – spiega Carmela Campione, assistente sociale – si sono convinti a cercare casa, perché il Comune gli ha fatto capire che non potevano ottenere un alloggio popolare immediatamente. Si deve rispettare una graduatoria che prevede lunghe attese».

Secondo il bilancio ufficiale redatto dai servizi sociali, su trentanove famiglie, otto non si sono presentate. Mentre diciannove hanno già trovato casa o hanno avviato delle trattative per l’affitto che a breve si concluderanno. «Siamo riusciti – rivendica la Campione – a sistemarne la metà, offrendo oltre al buono casa anche l’anticipo della caparra».

Dell’altro 50 per cento, molti si sono scontrati con la piaga degli affitti in nero. Senza però lasciarsi scoraggiare. «Abbiamo ospitato tre nuclei familiari che non riuscivano a trovare proprietari disposti ad affittare con regolare contratto – racconta Emanuela Consoli, operatrice referente della Locanda del Samaritano, gestita dalla Caritas – E proprio per questo motivo non potevano usufruire del buono casa. Fortunatamente dopo qualche mese hanno incontrato alcuni proprietari disposti a regolarizzarli».

Qualcuno invece ha scelto di rendersi autonomo, rinunciando all’assegno del Comune. «Ho trovato casa a 200 euro al mese, ma senza contratto», afferma Salvo, 60 anni, gli ultimi venti trascorsi al palazzo di cemento. Con una pensione di 700-800 euro mensili, arriva a guadagnare 9.600 euro l’anno. Un reddito che supera i seimila euro stabiliti dal regolamento comunale per l’erogazione del buono casa

La stessa somma percepita, stando a quanto riportato sempre nella lista dei servizi sociali, da quattro delle 31 famiglie in lista per il buono. «Anche se qualcuno di loro ha un reddito superiore a quello stabilito, bisogna verificare sempre il loro I.S.E.E – conclude l’assistente sociale Campione – E considerare anche che a volte percepiscono solo saltuariamente questi soldi. Comunque sia, si tratta sempre di persone senza casa».

Un capitolo, quello degli sfrattati dal palazzo di cemento di Librino, che secondo il Comune si è chiuso positivamente. Ma che, tra chi è in affitto in nero, chi sogna ancora di entrare in graduatoria e chi cerca una regolare soluzione autonoma, di fatto rimane in attesa di una conclusione.

Nelly Gennuso

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