Pachino, condanna a 24 anni per il boss Giuliano Per i giudici elezioni 2014 non furono condizionate

Nuova pesante condanna per il boss di Pachino Salvatore Giuliano. Il tribunale di Siracusa, presieduto dalla giudice Carla Frau, ha emesso la sentenza di primo grado del processo Araba Fenice, nato dall’inchiesta che nel 2018 fece luce sulla riorganizzazione del clan attivo nel centro del Siracusano. Giuliano, che pochi anni prima era stato scarcerato dopo una lunga detenzione, è stato riconosciuto colpevole di associazione mafiosa e condannato a 24 anni. A MeridioNews, nella primavera di quattro anni fa aveva dichiarato di essere soltanto un lavoratore impiegato nelle serre. Il tribunale in composizione collegiale lo ha riconosciuto colpevole anche di estorsione nel settore della commercializzazione delle angurie, limitando la libertà delle ditte concorrenti a La Fenice, l’impresa del figlio. Condanne anche per un’estorsione ai danni del gestore di un lido balneare a Portopalo e di avere fatto desistere, dietro minaccia di violente ritorsioni, una coppia dall’acquisto all’asta di un immobile del fidato Giuseppe Vizzini. Sempre sfruttando la propria caratura criminale, il boss sarebbe riuscito a evitare che una persona pagasse alcune mensilità di affitto.

Per l’accusa l’appartenenza di Giuliano all’omonimo clan andava riconosciuta a partire dal mese di giugno 2013, mentre il tribunale ha riconosciuto la colpevolezza a partire dal maggio 2015. Quest’ultimo è un dettaglio non da poco: al capo A dell’imputazione, quello riguardante l’associazione mafiosa, era finita anche l’accusa di essersi mosso per condizionare l’attività amministrativa a Pachino. Nel 2014, nel centro del Siracusano si svolsero le Comunali che portarono all’elezione in Consiglio di Salvatore Spataro. L’uomo – imputato nel processo – è stato assolto perché il fatto non sussiste. In seguito alle vicende politiche di quegli anni, l’amministrazione comunale guidata da Roberto Bruno finì la propria esperienza anzitempo, con il Consiglio dei ministri che dispose lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.

Il boss ha incassato anche qualche assoluzione: per mancanza di prove dall’accusa di intestazione fittizia della ditta La Fenice e perché le prove sono state ritenute insufficienti per quanto riguarda altre tre estorsioni nel settore ortofrutticolo.

Per Giuseppe Vizzini la condanna stabilità dai giudici è di 18 anni e mezzo. L’uomo è ritenuto di far parte dell’associazione mafiosa, e per questo di avere contribuito a perseguire gli obiettivi fissati da Giuliano, salvo alcuni singoli episodi per i quali è stato assolto. Condannati anche i fratelli Claudio Aprile (27 anni e tre mesi), Giuseppe Aprile (26 anni e sette mesi) e Giovanni Aprile (32 anni e due mesi). Per Nunzio Agatino Scalisi la condanna è stata fissata in 12 anni. Condanna a tre anni anche per Giuseppe Salvatore Agnello e a tre anni e de mesi per Rosario Agosta. Tre anni anche per Sergio Arangio, mentre per Antonino Cavarra la pena stabilità è stata di un anno. A. G. (nome puntato a seguito di assoluzione in Appello, con sentenza del 2019) e Daniele Di Stefano sono stati condannati a tre anni e un mese; Salvatore La Rosa a un anno e quattro mesi; Maria Sanguedolci a due anni e un mese; Simone Vizzini – il figlio di Giuseppe – è stato condannato a sei anni e un mese. Ultima condanna per Giuseppe Villari, per l’uomo il tribunale ha stabilito una pena a sei anni.

«La sentenza non ci soddisfa, attendiamo di leggere le motivazioni per proporre l’appello – dichiara a MeridioNews Giuseppe Gurrieri, legale di Giuliano – Dal dispositivo emerge che in un arco temporale di due anni il clan Giuliano ha concretizzato un’estorsione per 4200 euro (per altro nemmeno incassati ma compensati) una per 1500 euro ed altre due (una consumata e una tentata) dalle quali non avrebbe ottenuto alcuna somma. Di queste quattro estorsioni, una sola riguarda il settore ortofrutticolo, ben poca cosa se si pensa che l’accusa è quella di avere monopolizzato il mercato delle angurie, delle zucchine e dei pomodori del sud est siciliano e di avere imposto a tappeto il pagamento di una provvigione per ogni contrattazione economica». L’avvocato, sottolineando nessuna condanna ha riguardato il traffico di droga, si sofferma poi sul tema mafia e politica. «La sentenza restituisce serenità e dignità all’intera comunità pachinese che ha dovuto subire la ferocia di un provvedimento di scioglimento – conclude Gurrieri – frutto di supposizioni che finalmente oggi sono state sconfessate».


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