Operazione Matassa, tra estorsioni e pax mafiosa Affari dei clan di Camaro, San Paolo e Santa Lucia

A tenere sotto scacco Messina era la triade storica dei quartieri di Camaro, San Paolo e Santa Lucia sopra Contesse. Clan che mafiavano. È questa la novità dell’inchiesta Matassa che ha svelato i retroscena del procacciamento dei voti in città, tra luglio 2011 e giugno 2013, offrendo agli inquirenti un quadro aggiornato delle consorterie mafiose. Famiglie attive sul territorio ma che evitavano di pestarsi i piedi tra di loro. A confermarlo sono anche i pentiti. «I collaboratori di giustizia – scrive la gip Maria Teresa Arena – hanno riferito di una triade storica Gatto-Ventura-Spartà capace di gestire i più rilevanti affari illeciti della città e al contempo di escluderne dalla partecipazione i gruppi emergenti». 

E si tratta di dichiarazioni che per la prima volta emergono in un’inchiesta. Gaetano Barbera, Salvatore Centorrino, Francesco D’Agostino, Daniele Santovito, Francesco Comandè e Massimo Burrascano indicano l’esistenza di un triumvirato che aveva «il monopolio delle estorsioni in città». In mano agli investigatori e alla Procura c’è adesso uno spaccato del contesto criminale della città che fa emergere l’attualità della cosca mafiosa attiva ancora oggi nel quartiere di Santa Lucia sopra Contesse. A capo di essa c’è il detenuto Giacomo Spartà, che si avvaleva della collaborazione di Gaetano Nostro e Raimondo Messina, suoi uomini di fiducia, e dei principali affiliati Francesco Foti, Angelo Pernicone, Giuseppe Perinicone, Luca Siracusano, Giuseppe Cambria Scimone e Giovanni Celona.

Principali vittime del racket erano imprenditori e commercianti. Le famiglie, inoltre, avrebbero costituito proprie società per inserirsi in settori remunerativi come quello edilizio. E ancora trovando spazio nei servizi di sicurezza dei pubblici spettacoli. Gli introiti così ricavati servivano a mantenere l’organizzazione e degli affiliati. Denaro che veniva anche investito nel traffico di droga. Le intercettazioni ambientali telefoniche hanno inoltre documentato come tra i clan ci fossero rapporti di stretta collaborazione nel portare avanti le estorsioni. Ma non solo. Le organizzazioni di Santa Lucia sopra Contesse e quella di Camaro vedono anche la pianificazione di attentati e agguati mafiosi. Come si legge ancora nell’ordinanza, l’indagine ha «rivelato che per quanto i gruppi agiscano in autonomia sono, comunque, tra loro collegati» agendo in maniera tale da «evitare guerre tra clan rivali che avrebbero come inevitabile conseguenza quello di innalzare il livello di attenzione delle forze di polizia».

Le estorsioni vedono operare a Camaro Carmelo Ventura, con il ruolo di promotore e organizzatore, e Andrea De Francesco, che faceva da tramite con sodali, altri malavitosi, liberi professionisti ed esponenti politici. Chi, invece, eseguiva gli ordini erano invece Lorenzo Guarnera, Salvatore Mangano, Albino Misiti, Giovanni Moschitta, Adelfio Perticari, Domenico Trentin, Giovanni Ventura, Santi Ferrante, Salvatore Pulio, Fortunato Cirillo.

La geografia mafiosa a Santa Lucia vede, invece, attivi Gaetano Nostro, Giuseppe Cambria Scimone, Raimondo Messina, Giovanni Celona, Vincenza Celona, Francesco Foti, Francesco GiacoppoLuca Siracusano, Angelo Giuseppe Pernicone. Stando alle indagini, un imprenditore è stato costretto a corrispondere vari quantitativi di generi alimentari e altre utilità in favore dell’organizzazione delinquenziale in cambio della protezione delle sue attività commerciali.

Dalle parole dei collaboratori di giustizia si scopre che tra gli obiettivi comuni dei diversi gruppi mafiosi, c’è anche la gestione dello stadio San Filippo. «Stando alle dichiarazioni di Centorrino – si legge nell’ordinanza – Ventura percepiva una quota dei proventi illeciti, riscossi da Costantino (l’importo per ogni gazebo oscillava da 100 a 150 euro). Le somme venivano riversate in una cassa comune per procedere poi al riparto fra i gruppi». Non venivano risparmiate nemmeno le strutture sanitarie, come nel caso del Policlinico. A raccontarlo è un altro pentito, come riportato nelle carte: «Santovito sosteneva che i vari sodalizi, fra i quali quello di Ventura, almeno fino al 2006 avevano imposto assunzioni alla ditta che si era aggiudicata l’appalto per le pulizie». 

Lo stesso collaboratore spiegava che «tra gli ambiti di operatività della triade Ventura-Gatto-Spartà vi era anche quello delle bische clandestine in diverse zone della città. Quella organizzata da Ventura si teneva presso una villa ad Acqualadrone, mentre Santovito e il gruppo Trischitta ne gestivano una a Larderia». Anche il ricavato del gioco illegale era ripartito tra i vari gruppi in base a percentuali che tenevano conto delle somme investite dagli organizzatori, che ammontavano mediamente intorno ai centomila euro per bisca.


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