Sentenza di primo grado del processo ordinario scaturito dall'operazione antimafia del marzo 2016 a Castellammare del Golfo. Imputati assolti dall'accusa più grave. Compreso il boss, già condannato in passato per appartenere a Cosa Nostra
Operazione Cemento del Golfo, condanne per estorsione Cade accusa di associazione mafiosa, pure per Saracino
Tutti condannati per estorsione aggravata dall’aver agevolato Cosa Nostra. Ma è stata esclusa l’appartenenza alla famiglia mafiosa. Finisce così il processo ordinario di primo grado scaturito dall’operazione antimafia denominata Cemento del Golfo, scattata a marzo del 2016.
I pubblici ministeri della Procura Distrettuale antimafia di Palermo, Francesco Grassi e Gianluca De Leo, avevano chiesto pesanti condanne lo scorso dicembre per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. La sentenza della sezione penale del tribunale di Trapani – presidente del collegio Daniela Troja, a latere i giudici Gianluigi Visco e Oreste Marroccoli – è stata emessa nell’aula intitolata al giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto dopo circa sei ore di camera di consiglio.
Condannato a dieci anni e due mesi di reclusione e quattromila euro di multa il boss castellammarese Mariano Saracino, già con alle spalle condanne per mafia e ritenuto il cassiere della mafia trapanese. Otto anni e sei mesi e tremila euro di multa per Martino Badalucco; otto anni di reclusione e 2.800 euro di multa per Vito Badalucco; tre anni e 1.050 euro invece per l’imprenditore alcamese Vincenzo Artale. Quest’ultimo è salito alla ribalta delle cronache nazionali per essere stato iscritto all’Associazione Antiracket e Antiusura Alcamese per poi finire arrestato nell’operazione Cemento del Golfo. Proprio quest’ultima associazione, oggi presieduta Salvatore Di Leonardo, un imprenditore coraggioso che in passato ha fatto arrestare i suoi aguzzini, lo ha cacciato all’indomani dell’operazione e oggi era schierata parte civile contro di lui. La linea guida del Presidente è chiara: «fare squadra per non lasciare soli gli imprenditori che denunciano».
Per gli imputati è stata esclusa l’appartenenza alla famiglia mafiosa. Non viene, quindi, riconosciuto il ruolo di capo all’anziano boss Saracino, in aula ad attendere la sentenza in sedia a rotelle. Per lui nel 2016 è arrivata una confisca definitiva di beni per un importo di circa 50 milioni di euro. Durante il processo si è scoperto anche un pizzino, scritto probabilmente dallo stesso Saracino, nella cella dell’imprenditore Artale. La vicenda emerse pochi giorni dopo gli arresti, ma scoperta immediatamente dai magistrati e finita agli atti del processo. Anche l’imprenditore Artale è stato condannato solo per l’estorsione ai danni dell’imprenditore Miceli, aggravata dall’aver agevolato l’attività dell’associazione denominata Cosa nostra.
L’altro imputato, il 72enne Vito Turriciano, è l’unico degli imputati ad essere stato condannato con il rito abbreviato a 12 anni di carcere per associazione mafiosa. Per lui la condanna è diventata definitiva in Cassazione l’anno scorso.
Tra le parti civili che dovranno essere risarcite l’associazione Castello Libero Onlus di Castellammare del Golfo, l’associazione Antiracket e Antiusura Alcamese, il Comune di Castellammare del Golfo, il Centro studi Pio La Torre, Sicindustria, l’Associazione Libero Futuro di Palermo e la Parisi Vito srl. Rigettate invece le parti civili Vito Parisi, le imprese Siar srl, Mollica Francesco, Mollica Antonino e la Tecnordest srl. Fissato in 90 giorni il termine per il deposito delle motivazioni.