Operazione 4.0, pioggia di condanne Al boss Agrigento 14 anni di carcere

Più di 200 anni di carcere sono stati inflitti dal gup Ferdinando Sestito del Tribunale ordinario di Palermo, ai presunti esponenti di Cosa nostra arrestati nel marzo e nell’ottobre 2016 nell’ambito dei blitz antimafia Quattro.Zero e Montereale. La sentenza, pronunciata questo pomeriggio all’interno dell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, riguarda gli imputati che hanno scelto la forma del giudizio abbreviato.

Nel corso delle indagini, coordinate dai pubblici ministeri Francesco Del Bene, Siro De Flammineis e Amelia Luise, sono state ricostruite le vicende della stagione di violenza e di lotte intestine al mandamento di San Giuseppe Jato e della famiglia di Monreale per la conquista dei vertici. In particolare il tentativo da parte dei membri del clan di Monreale di alzare la testa rispetto al mandamento jatino. Minacce e pestaggi avrebbero però messo a tacere i tentativi di scalata dei vertici mafiosi. 

Le indagini dei carabinieri permisero di fare il punto sulle gerarchie dei clan locali e, in particolare del mandamento di San Giuseppe in cui la fazione di Gregorio Agrigento, coadiuvato nella gestione del sodalizio mafioso, tra gli altri, da Ignazio Bruno e Antonino Alamia, si sarebbe imposta, anche con la forza, dopo una preoccupante periodo di fibrillazione e contrapposizione, sul gruppo costituito da Giovanni Di Lorenzo, e altri affiliati arrestati nelle stesse operazioni. A Monreale, invece, i carabinieri riuscirono a ricostruire la riorganizzazione della famiglia mafiosa al cui vertice sarebbe stato designato Giovan Battista Ciulla che si sarebbe avvalso della collaborazione di alleati considerati dagli inquirenti come soggetti pericolosi spregiudicati. Tra questi vi erano Onofrio Buzzetta, Nicola Rinicella e Giuseppe Giorlando.

L’accusa è stata sostenuta dai pm Siro De Flammineis, Francesco Del Bene, Amelia Luise. Ecco le condanne: Gregorio Agrigento 14 anni, Ignazio Bruno 14 anni, Francesco Balsano 12 anni e mezzo, Onofrio Buzzetta 12 anni e 4 mesi, Antonino Alamia 12 anni, Giuseppe D’Anna 12 anni, Salvatore Lupo 12 anni, Giovan Battista Ciulla 11 anni e 4 mesi, Giovanni Di Lorenzo 11 anni, Giuseppe Giorlando 10 anni e 4 mesi, Giuseppe Tantarone Buscemi 10 anni e 4 mesi, Girolamo Spina 9 anni e 8 mesi, Giuseppe Riolo 9 anni e 4 mesi, Sergio Denaro Di Liberto 9 anni e 4 mesi, Alberto Bruscia 9 anni, Andrea Di Matteo 8 anni e 8 mesi, Giovanni Pupella 8 anni e 8 mesi, Salvatore Billetta 8 anni e 4 mesi, Nicola Rinicella 8 anni e 4 mesi, Giovanni Battista Inchiappa 8 anni, Salvatore Terrasi 8 anni, Giovanni Battista Licari 8 anni, Antonino Giorlando 3 anni, Domenico Lo Biondo 2 anni e 4 mesi, Andrea Marchese 2 anni, Pietro Canestro 1 anno e 10 mesi, Umberto La Barbera 1 anno e 10 mesi, Tommaso Licari 1 anno e 8 mesi, Ettore Raccuglia 1 anno e 8 mesi. Assolti Vincenzo Ferrara, Pietro Mulè, Andrea Marfia, Giuseppe Serbino, Domenico Lupo, Antonino Serio, Piero Lo Presti, Carlo Montalbano che erano assistiti, tra gli altri, dagli avvocati Tommy De Lisi e Mauro Torti. 

Assolti invece: Andrea Marfia, Vincenzo Ferrara, Giuseppe Serbino, Domenico Lupo, Pietro Mulè, Pietro Lo Presti.


Dalla stessa categoria

I più letti

Giustizia per Emanuele Scieri

Sono stati condannati i due ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara. Finisce così il processo di primo grado con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri, avvenuto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999. Per loro il procuratore Alessandro Crini aveva chiesto rispettivamente una condanna a 24 anni e 21 anni, […]

Catania archeologica, l`occasione mancata

In una nota protocollata al Comune etneo a metà gennaio l'associazione di piazza Federico di Svevia chiede di gestire il bene del XII secolo, abbandonato, per garantirne «a titolo gratuito e senza scopo di lucro, la fruibilità». Adesso interrotta dal cambio del lucchetto del cancello da cui vi si accede e dalle divergenze con uno degli abitanti, che risponde: «C'era il rischio per la pubblica incolumità»

I processi a Raffaele Lombardo